Famiglia. Familiarizzare. Tutto in Brasile è partito dagli engenhos con quella che era l’anima africana della casa-ama de leite 2grande, ossia l’ama de leite. I bianchi delle casas-grandes concedevano, e per servizi piuttosto delicati, di ‘elevarsi’ dalla senzala alla casa-grande solo ad una serie di figure che, una volta entrate nelle casas-grandes, non erano più schiave ma “persone della famiglia”. Dei parenti poveri: a pranzo o a cena, per esempio, gli africani si sedevano a tavola come parte integrante della famiglia.

ama de leiteÈ comprensibile se questa “elevazione” delle donne, in particolare, che dalla senzala passavano a vivere in una casa-grande per servizi domestici più delicati, si facesse valutando tutta una serie di caratteristiche fisiche e morali. In questo senso, un ruolo predominante era occupato dalle ama de leite: la negra o la mulatta che allattava il piccolo della famiglia, che lo cullava, che gli preparava da mangiare, che lo lavava, che gli raccontava delle storielle per farlo addormentare e che, alle volte, sostituiva completamente la figura della madre.

Quindi mamme negre, amas de leite, che vicine ai piccoli delle famiglie bianche, plasmarono un portoghese differente dal portoghese tipico del Portogallo, che i gesuiti tentarono di insegnare e imporre ai piccoli índios e meticci, alunni dei vari collegi gesuiti.

Tradizioni portoghesi introdotte dai coloni bianchi, come per esempio quella di dare nomi di Santi ai bambini, vennero modificate a seguito dell’influenza della schiava africana. Anche le canzoni portoghesi che venivano cantate ai bambini per farli addormentare, vennero modificate dalla ‘bocca’ dell’ama de leite. Così, per esempio, la vecchia canzone “Escuta, escuta menino!” venne ingentilita, dando origine al verso “Durma, durma meu filhinho!”.

Nuove paure, terribili ombre portate dall’Africa o dagli indigeni, si combinarono a quelle portoghesi.

Furono le mamme africane, le amas de leite, quelle che divennero le nuove cantastorie in Brasile. Gli africani, ama de leite fotoAfrica, avevano i loro cantastorie: persone che di professione raccontavano storie e che viaggiavano per diversi luoghi recitando i loro racconti. L’immagine, la figura di queste cantastorie, ha iniziato a sbocciare in Brasile da quando le africane più anziane, nelle casas-grandes, raccontavano storie ai piccoli bianchi. Il contatto con l’ama de leite si fece ‘sentire’ soprattutto nel linguaggio infantile che iniziò ad addolcirsi. Alcune parole, ancora oggi, “dure” se pronunciate in portoghese e dai portoghesi, quasi si ammorbidiscono in Brasile dietro l’influenza della bocca africana. È per questa ragione, infatti, che progressivamente si attestò (soprattutto in quell’epoca) una vera e propria disparità tra lingua parlata e scritta in Brasile; ma a ben vedere, anche all’interno della sola lingua parlata c’era una suddivisione in due categorie: la lingua parlata nelle casas-grandes e quella parlata nelle senzalas. È evidente e normale che il contatto, il legame che le amas de leite crearono e mantennero con i figli dei senhores dos engenhos finisse per generare questa disparità.

Le parole africane, utilizzate oggi dai brasiliani, che non hanno perso quel loro sapore esotico, sono innumerevoli: zumbi, vatapá, jiló, candomblé, dindinho e tante altre…

Filho Brasil pede a bênção Mãe África