All’inizio degli anni ’70, Maurício Tapajós e Paulo César Pinheiro incarnarono l’indignazione condivisa dai compositori brasiliani nei confronti della censura delle loro opere (Você corta um verso, eu escrevo outro/Tu tagli un verso, io ne scrivo un altro) e affrontarono la dittatura (Que medo você tem de nós, olha aí!/Che paura che hai di noi, guarda lì), con la canzone Pesadelo – Incubo – lanciata dal congiunto MPB-4 con il disco Cicatrizes (Phonogram 1972)
Tra i compositori con il maggior numero di canzoni mutilate o vietate per intero, negli anni ’60 e ’70, posto d’onore spetta a Chico Buarque. Il suo primo scontro con la censura, infatti, risale al 1966 con Tamandré. La canzone era parte del repertorio dello spettacolo Meu Refrão – Il mio ritornello -, presentato da Odete Lara e il congiunto vocale MPB-4. Lo show rimase in programma per sei mesi, ma il brano citato venne proibito perché rappresentava un’offesa al patrono della Marina, la cui immagine era impressa su una delle banconote di cruzeiro, la moneta dell’epoca.
Due anni più tardi, all’inizio del 1968, debuttò a Rio de Janeiro l’opera Roda Viva, con testo e colonna sonora di Chico Buarque. Il brano, da cui prende il titolo l’opera, era stato premiato l’anno precedente al III Festival da Música Popular Brasileira (Tv Record), piazzandosi al terzo posto. Lo spettacolo fu diretto da José Carlo Martinez Corrêa e nel cast apparivano i nomi di Marieta Severo, Heleno Pests e Antônio Pedro. La stagione teatrale carioca non presentò grossi problemi ma, in una delle repliche a São Paulo con Marília Pêra e Rodrigo Santiago come attori principali, lo spettacolo fu bersaglio di un violento attacco da parte del CCC (Commando di Caccia ai Comunisti), che invase il Teatro Galpão, depredando la scena e picchiando gli artisti. Il giorno successivo il cast avrebbe ricevuto l’appoggio di Chico Buarque.
Con l’inasprimento della censura a partire dall’Atto Istituzionale n°5, nel 1968, la stragrande maggioranza del popolo brasiliano, delusa dall’andamento politico del paese, ripose le proprie speranze negli artisti affinché si facessero interpreti, con le proprie canzoni, del malcontento popolare. I compositori, però, molto spesso si affidavano a metafore così sottili da non essere comprese dalla gente comune, come accadde con Sabiá, brano di Tom Jobim e Chico Buarque.
Vou voltar
Sei que ainda vou voltar
Para o meu lugar
Foi lá e é ainda lá
Que eu hei de ouvir cantar
Uma sabiá
Tornerò
So che tornerò
Alla mia terra
Lì già sono stato e ancora lì
Ascolterò il canto
Di un tordo
Durante il III Festival Internacional da Canção, Sabiá vinse la fase nazionale del concorso (successivamente vincerà anche la fase internazionale) mentre Pra não dizer que não falei de flores, di Geraldo Vandré, si classificò seconda. La canzone di Vandré, tuttavia, fu la più apprezzata dal pubblico per la capacità di affrontare apertamente questioni politiche e sociali, così il secondo posto fu accolto con i fischi dalla platea che riempiva il Maracanãzinho e che si unì al coro dello stesso artista (“Quem sabe faz a hora, não espera acontecer”).
Vem, vamos embora que esperar não é saber
Quem sabe faz a hora não espera acontecer
Vieni, andiamo via perché aspettare non è sapere
Chi sa si attiva subito, non aspetta che le cose accadano
Nel testo di Sabiá, opera che sicuramente va ricordata come una delle più belle composizioni da Tom Jobim, Chico Buarque, già nel primo verso della canzone, tematizza il ritorno di tanti conterranei mandati in esilio (“Vou voltar, sei que ainda vou voltar/Tornerò, so che tornerò”). Tale ritorno sarebbe avvenuto solo alla fine degli anni 70 e sarà ricordato in una canzone di Maurício Tapajós e Paulo César Pinheiro dal titolo To Voltando, il cui testo è una vera e propria risposta al primo verso di Sabiá. La brano, all’epoca registrata da Simone, si trasformerà nel simbolo dell’amnistia che permetterà il ritorno di tanti compagni d’esilio
Pode ir armando o coreto
E preparando aquele feijão preto
Eu tô voltando
Puoi montare il gazebo
e preparare quei fagioli neri
Io sto tornando
Chico Buarque fu bersaglio costante della censura. Alcuni giorni dopo la promulgazione dell’Ato Institucional n°5, infatti, il compositore venne condotto al Ministero dell’Esercito per deporre sulla propria partecipazione alla Passeggiata dei Centomila e sopra alcune scene dell’opera Roda Viva, considerata sovversiva.
La Passeggiata dei Centomila, che il 26 giugno del 1968 mobilitò i carioca d’ogni classe sociale uniti dalle stesse idee, fu raccontata nel brano Dia de Vitoria dei fratelli Marcos e Paulo Sérgio Valle.
É que o povo acorda e vê que o mundo é seu
E nas mesmas ruas onde faz as festas
Hoje, mão na mão, faz o cordão do amor
È che il popolo si sveglia e capisce che il mondo è suo
E nelle stesse strade dove si festeggia
Oggi, mano nella mano, fa un corteo d’amore
Nel 1969, previa autorizzazione del Colonnello Átila, da cui dipendeva la possibilità di assentarsi da Rio de Janeiro, Chico Buarque andò a Cannes, con l’obiettivo di partecipare alla Fiera Internazionale del Mercato del Disco (Midem) ma, invece di tornare in Brasile, si esiliò spontaneamente a Roma. In questa città scriverà il testo di Samba de Orly, la cui musica fu composta da Toquinho che, in quei giorni, si accingeva a tornare in Brasile dopo una stagione di concerti italiani al lato di Vinicius de Moraes. Alla canzone partecipò anche Vinicius, con il verso Pede perdão pela omissão um tanto forçada/Chiedi perdono per l’assenza un tanto forzata vietato dalla censura e sostituito con Pede perdão pela duração dessa temporada
Pede perdão
Pela duração (Pela omissão)
Dessa temporada (Um tanto forçada)
Mas não diga nada
Que me viu chorando
E pros da pesada
Diz que eu vou levando
Chiedi perdono
Per la durata (per l’assenza)
Di questa Stagione (un po’ forzata)
Ma non dire
Che mi hai visto piangere
E a quelli del gruppo
Dici che vado avanti
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