Ovar, Portogallo, 13 luglio 2019.

Elza Soares siede su un trono in cima a una piattaforma, sulla destra del palco. Voce roca e priva di trucchi, volto siliconato e gigantesca chioma scolpita in forme impossibili, unghie monstre, parole dritte al punto. Il palco è una nave dove il lavoro è tutto a vista. Batteria, basso elettrico e synth, percussioni dietro e percussioni davanti, chitarre e altri synth, due cantanti itineranti. Chi scende, chi sale, sguardi attenti e indicazioni in costante scambio tra chi appare nell’energia continua della scena e chi accompagna nella febbrilità del backstage. Elza resta il capitano indiscusso, di quel tipo disposto a delegare e confidare ampiamente nel proprio equipaggio per concentrarsi sullo schermo che la aiuta a ricordare tutti i testi, sul proprio ruolo, sulla sintesi che dà senso al lavoro di tutti.

Questa sintesi sta nel titolo. Deus è mulher (“Dio è donna”) è il nome dell’album qui presentato a poco più di un anno dall’uscita, con un’unica replica europea il 17 luglio al Capitólio di Lisbona. Tema ritrito, denunce logore, parole d’ordine note: le donne sono qui e hanno voce e spazio, chi non ce l’ha lo deve prendere e lo prenderà, mai più donne divise. Nulla di sconosciuto.

Ma quando parla Elza le parole sembrano nuove, semplici come la verità, e necessarie. Forse sono i suoi 82 anni di vita, i suoi 59 anni di carriera, o un figlio morto di fame quando era madre quindicenne nella favela a darle un’aura di genuina autorevolezza. Forse sono la professionalità e l’umiltà con cui alle soglie dei nostri anni ‘20 mostra una capacità di adattamento di gran lunga superiore a numerosi musicisti di tutt’altra generazione, o forse l’assoluta consistenza della sua presenza e della sua voce. Forse semplicemente la validità del suo messaggio. Il risultato è che ciò che spesso viene annunciato a torto è qui realtà: l’artista trasmette.

Un lavoro complesso che non è dovuto a una persona sola, come è più che manifesto in questo progetto. L’album nasce infatti come naturale continuazione di una prima produzione (A mulher do fim do mundo) nata dall’incontro con l’attuale direttore musicale e batterista del gruppo Guilherme Kastrup, con il desiderio di dare vita,

attraverso il carisma e i temi cari a Elza, a un progetto di paternità collettiva che fosse il riflesso di un ambiente composto da un gruppo di musicisti della scena di San Paolo che condividono nei loro ripetuti incroci un modo di lavorare, uno spazio, un tempo, delle idee. Un lavoro segnato fin nella sua origine da una forte orizzontalità tra i partecipanti, da un alto professionismo e da un’esigenza espressiva concreta, genuina e consistente, il quale ha sorpreso gli stessi creatori trasformandosi in una saga culminata in un Grammy Latino e un’ovazione generale da parte di innumerevoli artisti e critici.

Il risultato è un prodotto senza fronzoli, dall’identità musicale ibrida e molto ben definita, in cui aleggia il segno di un processo creativo sostanzioso, affinato e cesellato con cura al servizio di un messaggio di tenore politico-sociale che ne condiziona l’esistenza. Leggere le dichiarazioni di Elza, di Kastrup e degli altri a riguardo delle condizioni di creazione di questo concerto e questo album non fa d’altronde che confermare ciò che sul palco è reso evidente dagli sguardi di complicità, dalla cura dell’esecuzione, dallo spirito di dedizione e di collaborazione di chi gioca, e lo fa sul serio.

Dall’inizio alla fine delle due ore scarse di concerto, non è insomma solo uno spettacolo di intrattenimento che viene messo in scena. Non si tratta nemmeno di un rito di celebrazione di una cantante storica officiato grazie alla manodopera di specialisti del settore. Non è un colpo di genio discografico e commerciale che unisce un sound contemporaneo e unico a una voce senza tempo. Non è il grido informe di un gruppo di persone animate da un qualunque capriccio espressivo. Mano a mano che la voce tagliente di Elza depone parole semplici e forti su una sezione ritmica solida, e che le atmosfere ora eteree e ora aspre delle chitarre e dei suoni sintetici guidano di canzone in canzone, man mano che la potenza determinata di questa musica arriva all’udito e alla mente, un’evidenza sorge gradualmente in chi ascolta. Ciò che porta questa nave e che tiene insieme questo equipaggio è una rotta, un’intenzione comune, una voglia di dire e di essere, di rappresentare, di dare una forma definita e potente a una visione di musica e di mondo, a un motivo comune che cerca un canale per uscire, e che sfonda una porta in forma di palco, con centinaia di persone fuori.

Clareza, o vento passando
Clareza, um sopro de dúvida
Clareza, a luz na janela
Clareza, um pouco de música
Clareza, a sombra da morte
Clareza, dia tão lúcido
Clareza, um resto de sorte
Clareza, incômoda.

(“Clareza” – Deus è mulher, 2018)

Chiarezza, il vento che passa
Chiarezza, un soffio di dubbio
Chiarezza, la luce alla finestra
Chiarezza, un po’ di musica
Chiarezza, ombra della morte
Chiarezza, giorno così lucido
Chiarezza, un resto di fortuna
Chiarezza, scomoda.

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Deus é Mulher di Elza Soares arriva in Portogallo
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Deus é Mulher di Elza Soares arriva in Portogallo
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La tournée del disco Deus é Mulher di Elza Soares arriva finalmente in Portogallo. Nabocadopovo era presente e vi racconta ogni dettaglio dello show.
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