Abbiamo fatto alcune domande a Lorenzo Iervolino, autore del libro Un giorno triste così felice – Sócrates. Viaggio nella vita di un rivoluzionario, per cercare di capire meglio com’è nato questo lavoro di uno dei personaggi più affascinanti del Brasile.
Quando e in che modo ti sei appassionato alla figura di Sócrates?
A livello inconscio forse da molto prima che iniziassi questa lunga ricerca, i cui primi semi sono stati buttati in un piccolo solco di terra nel maggio del 2012. Stavo scrivendo con Massimiliano Di Mino (anche lui del collettivo TerraNullius narrazioni popolari) una serie di trasmissioni per un nostro format radiofonico dedicato alle Storie ribelli e alle Cronache perdute (si tratta di La staffetta, passato già per Fusoradio e Radio Kairos Bologna). E tra queste puntate avevo intenzione di parlare della Democrazia Corinthiana, il laboratorio politico che si è sviluppato sotto la dittatura brasiliana, nella prima metà degli anni Ottanta, all’interno di un club di calcio: Il Corinthians. E Sócrates ne è stato uno dei principali protagonisti, sicuramente quello che più aveva da perdere in questa lotta che partì da un campo da calcio e travolse l’intero paese.
Cosa ti ha spinto a dedicargli un intero libro?
Tutte queste motivazioni extra calcistiche sicuramente, e poi, anche il fatto che mentre la ricerca si allargava (scavava, si divertiva, dirompeva), mi sono accorto di quante cose importanti Sócrates, o Doutor da bola, avesse fatto: a livello personale e collettivo. Quindi dai 30‘ della possibile trasmissione radiofonica ho iniziato a progettare una narrazione. E qui ho avuto la fortuna di imbattermi nella 66thand2nd, la casa editrice che poi ha pubblicato il libro e che appunto mi ha permesso di farne un oggetto letterario, supportando le mie scelte che volevano essere distanti dall’approccio saggistico o giornalistico. Quella di Sócrates è una storia densa, intensa, divertente e appassionante: non poteva essere raccontata in poco tempo, e, per di più meritava che la sua voce “ritornasse a parlare”. Da qui sono partito.
Quanto il tuo viaggio in Brasile ha cambiato l’immagine che avevi di Sócrates?
Di sicuro mi ha dato conferma che molto di lui c’è: c’è ancora. Poi a Ribeirão Preto, la “sua città” (benché non fosse nato lì Sócrates ci visse gran parte della sua vita e dedicò a Ribeirão una canzone intitolata appunto Minha cidade) può sembrare di vederlo comparire da un momento all’altro. Il mio libro si basa molto anche sugli incontri che ho avuto proprio con la gente che ha fatto parte della sua vita, ex compagni di squadra, avversari, familiari, amici di infanzia, amici dell’ultimo periodo. Tutta gente che oltre alle giornate e nottate divertenti, hanno condiviso con lui progetti culturali e politici, idee, sogni. Tutta gente che ancora lo sente vivo. Qualcosa però che mi ha stupito, nonostante fossi arrivato in Brasile molto preparato, è stato il suo aspetto religioso e spirituale. La religiosità del Brasile del resto è molto più complessa di quella che conosciamo noi qua in Europa ed ha influenze e sincretismi vari. Così il loro cristianesimo è spesso anche attraversato da una forte presenza di spiritismo. E lui, da persona molto sensibile qual era, aveva una grande attitudine spirituale e frequentava un centro Spirita a un’oda da Ribeirão. Su questo argometno ho avuto diversi racconti, ma ho preferito trattarlo solo marginalmente, come altri aspetti della vita intima, che ho solo sfiorato.
Il tuo libro ha lo stile del romanzo. Quanto c’è di vero in quello che racconti?
La base è sempre tutta reale, in ciascuna delle tre parti: come ho detto prima sono partito dal presupposto di far parlare di nuovo la sua voce, così ho raccolto tutto quel che aveva scritto e detto (interviste, articoli, saggi, editoriali…) e questo mi ha permesso di “usare” (o meglio di ri-usare) le sue vere parole per tutti i suoi dialoghi. Poi quel che fino a metà libro si legge appunto come un romanzo, è costruito sui racconti e sugli aneddoti reali, spesso intrecciando testimonianze diverse e attraverso la narrazione romanzata sono diventati episodi del racconto. Poi, da un certo punto in poi, questa componente realista, ovvero il mio incontrare le persone che hanno fatto parte della sua vita, è diventata così emotivamente forte che ho lasciato che il romanzo cedesse al reportage, o a una narrazione del reale, dove i diversi stili e registri smettono di essere rigidi e si lasciano invadere l’uno dall’altro. In questo senso ho usato anche alcune cose scritte direttamente da Sócrates, che scriveva davvero bene, parti di poesie o semplicemente di suoi scritti davvero belli ed emozionanti, e li ho trasformati, modificandoli e riscrivendoli, in monologhi teatrali, in cui la sua voce in prima persona torna come un narratore aggiunto, un narratore dietro una quinta, o dall’angolo di una stanza, che riesce a farti entrare ancora di più in contatto col suo vissuto emotivo, parlando del senso della sconfitta, di quel che provava la prima partita del mondiale dell’82 o cosa fosse per lui il colpo di tacco e altri momenti di questo genere.
Perché il lettore dovrebbe scegliere di leggere il tuo lavoro?
A questa domanda non dovrei rispondere io, me lo dovrebbe dire qualcuno, che so, come te, che ha letto il libro… Scherzi a parte, credo che si possa orientare la risposta in due direzioni: la prima è sicuramente che le idee e soprattutto le scelte di vita di Sócrates meritavano di essere raccolte e raccontate e meritano di essere lette o ascoltate. Di questo rimango convinto; anche perché spesso – e questo è il caso – la potenza della realtà è molto più interessante o stupefacente di qualsiasi fiction. Secondo elemento che vi posso dare è proprio la natura del libro: leggere una narrazione biografica e avventurosa, che abbia ambientazione sportiva e che attraversi non solo la vita di un uomo ma di un paese intero, è forse uno sforzo e un rischio che in Italia non ci si prendeva da un po’ di tempo, l’ultimo grande esempio mi riporta al 1974, con Giovani Arpino che con azzurro Tenebra raccontava l’esperienza della Nazionale ai mondiali di calcio di quell’anno e riusciva parlare di un’epoca, dei migranti italiani in Germania. Ecco sono passati 40 anni, spero che questo libro, che nel suo piccolo sta viaggiando a 1.000 copie in 8 settimane di uscita, riesca anche a far prendere coraggio a chi vuole parlare di sport, politica e fenomeni sociali non solo attraverso il saggio o la cronaca ma anche attraverso la letteratura.