Quando parliamo della formazione della famiglia brasiliana – famiglia dove anticamente doveva osservarsi e rispettarsi una morale di stampo europea e cristiana – non possiamo dimenticarci quello che per gli indigeni rappresentarono nel contatto con l’europeo. Sin dall’inizio della storia di contatto tra le due etnie, quella indigena da un lato e quella europea dall’altro, ci fu sempre una distinzione ben netta tra la cultura considerata inferiore e quella considerata superiore e che sempre condusse al medesimo risultato: distruzione della cultura più fragile ed inferiore, a fronte del fatto che l’etnia più ‘forte’ sin dall’inizio ha sempre voluto imporre al popolo sottomesso (in questo caso quello indigeno) la sua cultura morale. Il missionario è stato sempre considerato, dal XVI secolo fino ai nostri giorni,  il fautore della distruzione delle culture extra-europee.

Gesuiti e indiosIn Brasile, con l’influenza dei gesuiti, la colonizzazione del territorio brasiliana venne caratterizzata da una una linea di imposizione moralista ma meno rigida rispetto a quella precedentemente imposta dai portoghesi: a seguito dell’influenza della Compagnia di Gesù, per esempio, alcuni canti indigeni – da un sapore più esotico – vennero progressivamente ad essere sostituiti da altri canti che nella loro struttura e nella loro composizione risultavano essere più fissi e rigidi.

I gesuiti tentarono di distruggere tutti gli elementi più preziosi e unici della cultura indigena: tutto ciò che era espressione di una cultura artistica o religiosa divergente rispetto alla morale cattolica, venne soppressa.

Il Diretório dos Índios, documento elaborato dal Marchese di Pombal nel 1757, afferma l’importanza di imporre la lingua del colonizzatore (il portoghese) come uno strumento per “sconfiggere le barbarie del popolo conquistato e subordinarlo al potere del principe”. Era, dunque, proibito agli indigeni parlare la lingua nativa: si trattava di una politica di omogeneizzazione che prevedeva l’imposizione della lingua portoghese come unica lingua ‘legittima’ e l’inizio di vero e proprio glottocidio che portò alla scomparsa di più dell’85% di lingue indigene.

Questo processo di assimilazione dei dogmi della religione cattolica si realizzò attraverso il bambino indigeno, il culumim, e la sua importanza nella formazione del Brasile si orientò in una direzione opposta rispetto a quella dell’africano delle senzalas.

Il gesuita, in Brasile, si avvalse del culumim per raccogliere tutto il materiale necessario  per la formazione della lingua tupi-guarani, lo strumento più potente del contatto tra queste due forme di cultura tanto differenti – quella dell’invasore e quella dell’indigeno nativo. Questa lingua rapprensento non solo un mezzo di comunicazione quotidiano ma anche uno strumento per intrattenere rapporti commerciali. La lingua che si formò per mezzo della cooperazione tra il padre gesuita e il culumim rappresentò le fondamenta delle relazioni sociali e commerciali tra le due razze. Quando l’idioma portoghese – sempre lingua ufficiale – prevalse sul tupi, divenendo lingua del popolo, il colonizzatore era già imbevuto di cultura indigena.

Allo stesso tempo, a partire da questa situazione, si stabilirono le basi per un vero e proprio dualismo linguistico: quello tra la parlata signorile e quella più nativa e conservatrice.

Negli ultimi decenni è stato realizzato un intenso lavoro di demarcazione delle terre indigene. I frutti di queste strategie sono visibliMem_ria_Viva_Guarani e altamente positivi. La cultura indigena è tornata ad essere valorizzata dagli stessi indigeni che oggi lottano per preservare la propria identità.

Ancora oggi, parlando della preservazione degli indigeni e delle loro lingue, José Ribamar Bessa Freire, Professore dell’Universidade Estadual de Rio de Janeiro (UERJ) afferma che “Gli indigeni sono tutti differenti e questa differenza è oggi considerata un elemento di ricchezza per la cultura brasiliana”.

La maggiore battaglia dei giorni nostri è quella per la tutela della foresta, per la tutela della cittadinanza brasiliana degli indigeni preservando le tradizioni e le lingue native. Le politiche pubbliche di preservazione delle lingue in Brasile è qualcosa di relativamente recente ma che progressivamente sta assumendo un certo valore da quando anche istituzioni internazionali come la UNESCO se ne sono preoccupate. A partire dall’anno 2000 è stata lanciata una politica federale di tutela del patrimonio culturale immateriale i Brasile, focalizzando l’ attenzione sui saperi, le celebrazioni, le forme di espressione, i luoghi dove si concentrano queste pratiche culturali collettive.

Nel 2006 l’allora Ministro della Cultura Gilberto Gil firmò una Dichiarazione Universale dei Diritti Linguistici nata a Barcellona nel 1996 e che tratta la questione della diversità culturale come un importante fattore di sviluppo, nei termini cioè di un “pluralismo culturale”.

A partire dalla Convenzione della UNESCO sulla tutela e promozione delle diverse espressioni culturali, realizzata nel 2005, le politiche di promozione e tutela della diversità culturale vengono viste oggi in Brasile come fattori di sviluppo economico e sociale.