La vita degli indigeni, incontaminati dal contatto con gli europei (prima dell’arrivo dei portoghesi nel 1500), ci autorizzerebbe – e uso con cognizione il condizionale – a considerare la cultura indigena come inferiore rispetto alla cultura africana, entrata in Brasile a seguito della deportazione degli africani in stato di schiavitù per lavorare – inizialmente – nelle piantagioni di canna da zucchero.

Le caratteristiche generali delle tribù indigene del nordest del Brasile, e che possono essere impiegate per riassumere in generale le caratteristiche di tutte le altre tribù distribuite sul territorio brasiliano, sono:

– la caccia;

– la pesca;

– La coltivazione di mandioca, tabacco e zucca;

– l’assenza di qualsiasi tipo di animale domestico;

– l’impiego di miele grazie alla pratica dell’apicoltura;

– l’impiego di archi e frecce;

– la cattura di pesci per mezzo di una rete o un’esca;

– tutte le comunità vivevano in un’unica abitazione, grande e ricoperta di paglia e condivisa generalmente con tutti i componenti della famiglia;

– “andam nus, sem cobertura nenhuma”, sempre nudi e senza alcuna protezione ad esclusione di un frammento di tronco d’albero per gli uomini;

– il labbro inferiore forato con un vero osso inserito nel labbro stesso.

Queste sono solo alcune delle caratteristiche della Cultura della Foresta Tropicale, dunque del Brasile intero.

I portoghesi si preoccuparono di organizzare una società cristiana, con la moglie indigena, battezzata, madre di famiglia che si è servita tanto nella sua vita privata quanto in quella domestica, di molte tradizioni, esperienze e del sapere delle popolazioni autoctone.

Indios ApiakaL’europeo arrivato in Brasile, cadeva sempre tra le braccie della donna indigena nuda, così come i padri della Compagnia di Gesù: molti uomini religiosi di diverse provenienza si lasciavano corrompere della bellezza delle donne indigene. La donna era, però, la prima che si lasciava “contaminare” dal bianco. Ed è da questo primo incontro, tra la donna indigena e l’uomo bianco, a partire dal XVI secolo, che si è originata la prima generazione di meticci: i mamelucchi (nel caso dell’incontro tra indigena e bianco).

La donna indigena ha mostrato, nel corso del tempo, una maggiore capacità di adattamento rispetto all’uomo indigeno. Un po’ schiava dell’uomo ma superiore nella capacità produzione di utensili o strumenti utili per la vita quotidiana, sulla donna indigena pesava tutta l’organizzazione domestica, toute la charge come direbbe Léry.

Tutti gli strumenti di cui l’indigena si serviva per cucinare, per conservare gli alimenti, per seccare la carne, per confezionare zuppiere di zucca … tutto questo era lavorato dalle mani delle donne indigene. L’indigena preparava i piatti principali come la farina di mandioca. Di fatti, la farina di mandioca diventò la base per la dieta del colonizzatore, prendendo il sopravvento sulla farina di grano.

Ancora oggi la farina di mandioca è l’alimento basilare della dieta brasiliana e la tecnica di produzione è rimasta quella di impronta indigena.

È dalla donna indigena che proviene il meglio di questa cultura: l’igiene del corpo, la rete per cullare i piccoli, l’olio di palma per i capelli delle donne … questi sono solo alcuni esempi..

La donna è stata, dunque, ‘elemento’ molto più produttivo rispetto all’uomo all’interno delle culture indigene. La donna ha trasmesso tutti gli elementi più importanti per l’organizzazione della società indigena e soprattutto alcuni aspetti fondamentali per la vita del piccolo indigeno.

L’indigeno selvaggio, ancora infante, non era il bambino idealizzato da J.J. Russeau nel 1755; liberamente educato, senza timoreIndios alcuno e non crendente ai poteri della superstizione. Al contrario, possiamo dire che tutti i piccoli indigeni venivano allevati alimentando in loro l’esistenza di un macobeba (un individuo che usciva solo la notte) dalle forme, molto vaghe, non di un animale particolare ma di una animale in generale.

Tra gli indigeni c’era, poi, il costume di chiamare i figli con nomi di animali, pesci, alberi … sinonimo di grande analogia con le pratiche magiche (annesse alla vita indigena).

Il brasiliano, quindi, era un popolo plasmato sulla base di credenze nel sovrumano: in tutto quello che li circondava si sentiva l’influsso frequente di fattori estranei.

L’infanzia dell’indigeno era caratterizzata, possiamo desumere, da un grande influsso del soprannaturale: sin dal principio, le reti impiegate per “caricare” i piccoli sulle spalle erano ‘protette’ da un filo in tessuto che le madri allacciavano, alla rete, per proteggere i piccoli da eventuali animali mostruosi; molti piccoli indigeni furono allevati nelle reti, ascoltando il suono malinconico prodotto dal filo allacciato alla rete.

Contro possibili influenze negative, le mamme indigene praticavano i primi rituali di protezione collocando sulla rete questo filo, un arco, un ritaglio di seta e un’erba. Tutto simbolico e tutto tremendamente mistico e misterioso … per questo popolo ricco di segreti da scoprire e conoscere!

Lindo e triste Brasil