Nel 1967, nel corso di un rito religioso, uno spirito apparso a un allora giovanissimo Milton Nascimento pare gli abbia detto: «Non essere triste, molta gente ha bisogno di te. Tra qualche giorno accadrà qualcosa di straordinario a cui non riuscirai a credere neanche tu».
É Milton a raccontare l’episodio in più occasioni, assicurando puntualmente che nulla di quanto raccontato sia frutto della sua immaginazione. Che ci crediate o no, resta il fatto che alcuni giorni dopo l’accaduto, sul palco del Maracanãzinho, il compositore carioca vinceva il premio come miglior interprete del Festival Internacional da Canção. Il brano che eseguiva, invece, si sarebbe classificato secondo, dietro a Margarida di Guttemberg Guarabyracon: era Travessia, ancora oggi un caposaldo della musica brasiliana. La profezia si era avverata. In quell’esatto momento veniva consacrato al successo uno degli artisti più apprezzati del panorama brasiliano.
Travessia, inutile dirlo, rappresenta un punto cruciale non solo per la carriera di Milton Nascimento ma anche, e soprattutto, per l’evolversi della musica brasiliana. Il disco, infatti, pone le basi per il sorgere del movimento che qualche anno più tardi, esattamente nel 1972, avrebbe preso il nome di Clube da Esquina: a detta di molti, una rivoluzione importante almeno quanto quella della bossa nova. Insieme a Milton, i fratelli Borges, Marilton, Lô e Márcio, il pianista Wagner Tiso, i poeti Fernando Brant, Ronaldo Bastos e Murilo Antunes rinnovarono i canoni della musica brasiliana mescolando la tradizione joãogilbertiana con elementi di origine jazz, con il rock dei Beatles e dei Platters, con la musica classica e con i canti tradizionali dei neri di Minas Gerais. Il risultato si riversò in una strana forma di modernismo in musica, di progressive in salsa verde-oro ancora oggi fonte di ispirazione per intere generazioni.
L’estro musicale di Milton Nascimento, però, non riesce subito a varcare i confini del suo paese. A consacrare il brasiliano nell’olimpo musicale internazionale sarà niente di meno che Wayne Shorter che con Milton registrerà il disco Native Dancer nel 1975.
A partire da questo momento la carriera dell’artista brasiliano è un susseguirsi di collaborazioni. In Brasile ne vanno ricordate alcune: la partecipazione al progetto O Grande Circo Místico di Chico Buarque ed Edu Lobo, nel quale Milton Nascimento interpreta il brano Beatriz, l’impegno come autore di numerosi brani scritti per Elis Regina, vera musa ispiratrice di Milton, la liaison con Naná Vasconcelos nei dischi Milton del 1970 e Milagre Dos Peixes del 1973 e, più di recente, la tournée con il giovanissimo Tiago Iork e la collaborazione con Criolo. Sul piano internazionale, Milton Nascimento ha suonato con Paul Simon, Peter Gabriel, con i Duran Duran, Herbie Hancock e Quincy Jones.
In totale, oggi, a suo nome si contano 34 dischi e numerosi riconoscimenti. Tra gli ultimi, la laurea honoris causa dal Berklee College of Music e, cosa probabilmente ancora più emblematica, il “battesimo” ricevuto dagli indios Guarani – evento rarissimo per chi non è indio – con il nome di Ava Nhey Pure Yvy Renhoi, ovvero seme della terra. Non è un caso se la sua attuale tournée si chiama allo stesso modo. Con un repertorio che ripercorre un’intera carriera, Semente da Terra – questo il titolo originale – è un ritorno alle origini, un viaggio alle radici della terra brasiliis, che apre lo spazio per una riflessione politica e sociale necessaria se si pensa al periodo turbolento che il Brasile sta attraversando.
Quello che ci riserva il futuro, invece, è ancora un mistero. Milton Nascimento non si sbilancia ma, allo tesso tempo, lascia spazio alla possibilità di nuove composizioni, nuovi dischi. A noi rimane la speranza che il seme della terra dia ancora nuovi frutti.
Mi piacerebbe iniziare dal principio. In che momento della tua vita ti sei interessato alla musica?
La mia casa a Três Pontas, in Minas Gerais, è sempre stata molto musicale. Lilia e Zino, i miei genitori adottivi, ascoltavano molta musica senza badare troppo al genere, alcuni giorni poteva essere musica classica, altri musica popolare. Credo che questo aspetto sia stato fondamentale nella mia formazione.
Sei cresciuto nel sud di Minas Gerais, a Três Pontas, una città che offre una realtà ben diversa da quella di Rio de Janeiro e Salvador. In che modo questa città ti ha reso il Milton musicista?
Come ti dicevo prima, i miei genitori sono state le persone più importanti per la mia formazione. Senza di loro non sarei quello che sono oggi. Non solo come musicista, ma anche come persona.
Sono passati 50 anni dalla pubblicazione del disco Travessia. Quanto questo lavoro è stato importante per la tua carriera?
È stato l’inizio di tutto. La pubblicazione di Travessia, nel 1967, è stato uno dei momenti più importanti della mia vita. Oltre ad essere il mio primo disco come solista, è stato anche il disco che mi ha permesso di fare i miei primi concerti con canzoni da me composte. Questo già dimostra quanto il disco sia stato importante per me. Dico sempre che Travessia ha avuto un significato molto speciale per molta gente. Grazie a questo lavoro, io e Fernando Brant abbiamo iniziato un percorso che ha definito le nostre vite. Wayne Shorter, per esempio, è solito dire che la nostra musica costruisce ponti, ponti di amicizia, pace e unione.
Da dove hai preso il titolo Travessia?Dal libro Grande Sertão Veredas, di Guimarães Rosa.
Travessia si è classificato al secondo posto nel Festival Internacional da Canção. Hai raccontato spesso che, all’epoca, non volevi partecipare al festival. Come andarono le cose?Avevo già partecipato, nel 1966, al Festival Berimbau de Ouro, della TV Excelsior, presentando un brano scritto da Badel Powell e Lula Freire: Cidade Vazia. Nonostante abbia vinto il premio come miglior interprete, non mi era piaciuto il clima di competizione che si respirava nel backstage. Oltre a questo, prima del Festival Internacional da Canção partecipai ad altri due festival e notai la stessa situazione. Così mi ero promesso di non partecipare mai più ad un festival, fino a quando non è apparso Augustinho do Santos.
In che modo Agostinho dos Santos è stato fondamentale in questo momento?
È stata una cosa impressionante che non sarebbe potuta accadere nemmeno in un film. Se non ci fosse stato lo zampino di Augustinho, non ci sarebbe stato nessun festival. Mi aveva chiesto di iscrivermi al festival del 1967 ma non gli diedi nemmeno l’opportunità di finire di parlare. Dopo quel 1966, come ti ho già detto, mi ero ripromesso di non partecipare a nessun altro festival: quel clima di competizione non mi piaceva per niente. Un mese dopo, Augustinho venne a dirmi che aveva trovato la persona che gli avrebbe prodotto il disco. Mi disse anche che alcuni miei brani sarebbero stati inseriti nel repertorio ma che, per farlo, avrei dovuto registrare le tracce – che sarebbero servite come guida – nello studio di un suo amico. Ci andai pensando: accidenti, dovrò REGISTRARE? tre canzoni ma alla fine ne sceglieranno solo una. Una settimana dopo incontrai Elis Regina sulla porta della Recordo: “Lo sapevo”, disse, “ti sei classificato con tre canzoni al Festival”. Quando ascoltai queste parole svenni, soprattutto pensando all’ipotesi che potesse esistere un altro Milton Nascimento. Ma all’improvviso la risata fragorosa di Augustinho alle mie spalle mi risvegliò: avevo capito tutto. Augustinha aveva iscritto i tre brani al FIC del 1967 e si erano classificate tutte e tre.
Clube da Esquina è arrivato qualche anno più tardi, nel 1972. Qual è l’importanza di questo disco?
In quel periodo pensavamo quello che continuiamo a pensare oggi, ovvero che si possa essere felici senza dover far male a nessuno. Convivere con gli amici, fare la nostra musica, pensare al futuro… Questi erano i nostri sentimenti, nient’altro. Il resto era mera conseguenza. Ed è in questo clima che abbiamo fatto il disco che rimane un classico ancora oggi.
Cosa ricordi dei giorni passati in sala di registrazione?
Accidenti, un sacco di cose. Mi ricordo della casa di Mar Azul, a Niterói, dove io, Lô Borges e Beto Guedes abbiamo iniziato a dare forma all’idea. Oltre alle incursioni di tutta la pá, come io chiamavo il gruppo di amici. C’erano sempre persone che arrivavano e altre che andavano: Ronaldo Bastos, Márcio Borges, Robertinho Silva, Wagner Tiso. Era davvero molta gente. E in mezzo a tutto questo abbiamo fatto il discoIn che modo questo disco ha cambiato la vita di chi vi ha preso parte?Il fatto che la gente ne parli ancora oggi la dice lunga su quanto questo disco sia stato importante.
Cambiando argomento, nel periodo della dittatura militare tu sei stato uno degli artisti che è rimasto in Brasile. Cosa ricordi di quel periodo?È stata una fase terribile per tutti. Ma, in qualche modo, dovevamo andare avanti ed è esattamente quello che abbiamo fatto.
Credi che i recenti avvenimenti politici in Brasile ricordino quello che è accaduto durante la dittatura militare?È tutto molto strano, non soltanto in Brasile, ma nel mondo intero.
Tra le tue canzoni ce ne sono molte che affrontano temi politici come Coração de Estudante. Credi la musica possa ispirare il popolo brasiliano?
Sarebbe fantastico se questo succedesse davvero
Hai dedicato un intero lavoro al popolo nero, Missa dos Quilombos. In che modo hai affrontato temi come il razzismo e la schiavitù e come questo lavoro è stato accolto in Brasile e all’estero?
Questo disco è stato il risultato della volontà di Dom Helder Câmara, che ha messo in contatto Dom Pedro Casaldáliga e il poeta Pedro Tierra con me e Fernando Brant. Missa dos Quilombos è l’unione tra neri, poveri, indios, lavoratori e minoranze del Brasile. La nostra intenzione era quella di dar vita a una riflessione. Abbiamo registrato un disco e abbiamo fatto diversi concerti importanti per la causa. Uno di questi, molto speciale, si è tenuto in Spagna, a Santiago de Compostela. Ancora oggi le persone ricordano questo disco.
Tornando di nuovo indietro nel tempo, nel 1974 hai registrato il disco Native Dances con Wayne Shorter. Come è avvenuto questo incontro e in che modo questo lavoro ha cambiato la tua carriera?
Nel 1972 ero impegnato in uno spettacolo in cartellone al Teatro da Cruzada Eucarística São Sebastião, che si trova nella Fonte da Saudade, a Rio de Janeiro. E i Weather Report, di cui Wayne Shorter era il leader, erano a Rio per dei concerti. Tramite la moglie, la portoghese Ana Maria, Wayne Shorter venne qui e cominciò a chiedere dove abitasse Milton Nascimento. I ragazzi della produzione, credo per dispetto, dissero che non lo sapevano. Solo che la moglie di Wayne, Ana Maria, era portoghese e lesse sul giornale che i ragazzi del Clube da Esquina avrebbero fatto un concerto lo stesso giorno di Wayne. Ricordo che stavo per salire sul palco quando una persona mi disse: Wayne Shorter è nel pubblico. E io risposi: cosa?! All’epoca ero già innamorato di li, sin da quando suonava con Miles Davis. Tremavo naturalmente alla sola idea di esibirmi al suo cospetto. I musicisti dei Weather Report vennero al concerto del Clube da Esquina per sette giorni di seguito. L’ultimo giorno Wayne mi chiamò in disparte e mi chiese se avessi voglia di registrare un disco con lui. Gli risposi che sicuramente avrei voluto, ma non sapevo se ne sarei stato in grado. Qualche tempo dopo, Wayne mi chiamò per invitarmi a Los Angeles e io ci andai accompagnato da Wagnet Tipo e Robertinho SIlva. Ci ospitò lo stesso Wayne a casa sua e avemmo la possibilità di conoscere molti musicisti di diversi generi e di diversi posti. Così registrammo il disco Native Dancer.
La lista di grandi artisti con i quali hai collaborato è enorme:: Peter Gabriel, Duran Duran, Jon Anderson degli Yes, Quincy Jones, Herbie Hancock, Esperanza Spalding. Qualcuno di questi ti ha impressionato particolarmente?
In generale, collaborare con ognuno di loro è stato un privilegio.
Attualmente sei impegnato nella tournée Semente da Terra. Parlaci di questo progetto.
Ava Nhey Pure Yvy Renhoi, che significa Semente da Terra, è il nome che ho ricevuto dai 37 leader religiosi della nazione Guarani Kaiowá durante una cerimonia officiata nel 2010 a Campo Grande. Il nome di battesimo Guaranì è un privilegio concesso a pochissime persone nate al di fuori della tribù. Il mio, in particolare, nacque dall’impressione che gli índios ebbero guardando una mia foto. Nessuno dei leader aveva mai sentito parlare di me prima dell’evento, che riunì vari índios di varie etnie a Campo Grande, dove mi esibii in un concerto con la mia band per gli abitanti del Mago Drosso do Sul e per le comunità indigene. Dopo una lunga discussione di quasi due ore (in cui la mia foto passò di mano in mano), gli indios – che stavano in uno dei camerini – salirono sul palco durante il concerto e fecero il battesimo lì sul palco. Semente da Terra, il nome che gli indios mi diedero quella notte, è stato il nome per battezzare questa tournée. Ma Semente da Terra è, prima di qualsiasi altra cosa, un messaggio di speranza. Il mondo ne ha bisogno. Il nostro desiderio è che questa tournée possa generare, in un certo senso, un momento di riflessione.
Questo concerto offre un repertorio con canzoni cariche di un forte significato politico. Qual è l’importanza di fare un concerto politico oggi?
Credo che tutto quello che possiamo fare per aiutare sia importante. Ognuno nel suo piccolo, tutto aiutandosi, sempre… Questo nuovo spettacolo è iniziato partendo dal tema indios e soltanto in un secondo momento ha iniziato a prendere altre forme. Fino a quando è diventato Semente da Terra, come se fosse un racconto della mia vita. Tutto è presente in questo concerto. E tutto è stato fatto insieme a Wilson Lopes, direttore musicale e responsabile degli arrangiamenti, mio figlio Augusto Kesrouani Nascimento, il mio impresario, Danilo Japa, il direttore artistico del concerto, e, chiaramente, ascolto sempre le opinioni degli integranti della band, specialmente quelli di Lincoln Cheib (batteria), Kiko Continentino (piano) e Widor Santiago, fiati, ma anche della nostra equipe in generale. Per me, l’aiuto di tutto è sempre molto importante.
In che modo avete scelto il repertorio?
È avvenuto tutto in modo molto tranquillo e sereno. Non abbiamo pensato a nient’altro che non fosse ispirato alla vita degli indios del Brasile. In special modo ai Guarani-Kaiowá del Mato Grosso do Sul. Per finire, abbiamo scelto quello che fosse il più diretto possibile. Nel concerto ci sono tutte le fasi della mia vita, a partire da Travessia, passando dagli anni 70 e 80, Diretas Já, Coração de Estudante, Nos Bailes da Vida, Maria Maria, Caxangá e tanto altro.
In che modo hai abbracciato la causa indigena, tema molto presente nella tua carriera e nello spettacolo Semente da Terra?
In realtà tutto è iniziato molto prima del disco Txai. Erano gli anni settanta quando, a San Paolo, ho conosciuto alcuni indigeni. In quel momento ho già avuto una identificazione molto forte. Successivamente è venuto fuori il progetto Txai, che è diventato un disco nel 1991, quando ero nell’Acre con gli indios della Tribù Ashninka. A partire da questo momento, la causa indigena è sempre stata presente nella mia vita. Fino a quando, nel 2010, sono stato battezzato dagli indios Guarani Kaiowá del Mato Grosso do Sul. Sono loro la principale ispirazione di questo concerto.
Qual è oggi la situazione degli indios?
Quali sono le politiche che il Brasile mette in atto per proteggerli?Il mio interssamento per la causa degli índios del Brasile è iniziato quando ho avuto il primo contatto con loro. Ho portato questo problema in giro per il mondo grazie alla tournée Txai, che mi ha dato anche il premio della Fondazione Rain Forest, che è una specie di Oscar per la politica dell’ecologia. La nostra intenzione è porre di nuovo lo sguardo sul tema degli indios, soprattutto nel Mato Grosso do SUl. Più le persone ne parlano, discutono e si informano sul tema, più attenzione i Guarani-Kaiowá riceveranno. Recentemente abbiamo fondato una marca di t-shirt insieme al Progetto Vivart, in cui parte del ricavato sarà destinato a una scuola indigena a Caarapó (MS). Ma la questione non è solamente quella di aiutare queste popolazioni sotto il profilo economico, anche perché i Guarani-Kaiowá sono formati da diversi popoli, in questo modo, esistono centinaia di lideranças que non sempre convivono sullo stesso territorio. Dobbiamo fare molto di più. Dobbiamo mobilitare la società sull’attuale realtà dei Guarani-Kaiowá. Dobbiamo portare il tema all’attenzione dei governi perché passino a guardare direttamente per i problemi che gli indios affrontano. I governanti devono dedicare più dedizione a questa questione. Loro si che possiedono una responsabilità molto maggiore. Consiglio a chi si vuole informare sulla questione di guardare il film Martítio e di leggere il libro Os Fuzis e as Flechas.
Nel 2016 hai ricevuto il titolo di Dottore Honoris Causa dalla Berklee College of Music. Cosa ricordi di questo momento?
È stata una delle cose più belle della mia vita.
C´è qualcuno tra i nuovi giovani artisti che consideri un tuo erede?Credo che ogni artista abbia uno stile proprio.
Come vedi il futuro della musica brasiliana?
Com’è sempre stato: rivela qualcosa di nuovo a ogni istante.
Quest’anno è tutto possibile. Ma la nostra priorità rimane questa tournée, che ha una programmazione pienissima da ora fino alla fine di novembre. E quando sentiremo il bisogno di filmare, registrare o lanciare un nuovo disco lo faremo, ma tutto con molta tranquillità

