Un ricordo personale

La prima volta che vidi Gilberto Gil dal vivo fu quando avevo 15 anni, nel 1981 al Teatro Sistina di Roma: era un Gil “d’attacco”, con il tour di “Luar”, con forti sonorità pop tendenti alla disco, cosa per me, all’epoca, abbastanza “traumatica”. Ma non mancò anche lì un toccante intermezzo acustico voz e violão, con brani come Expresso 2222 e Flora. Fattosi tardi, io e l’amico con cui ero andato, ci avviammo verso l’uscita, anche se il concerto non era terminato, perché mio padre sarebbe dovuto venirci a prendere. Ma una volta usciti, lui stesso, incuriosito, volle poi che rientrassimo tutti in platea per i bis. Ricordo ancora i suoni e i colori “sfavillanti” del trentanovenne Gil, in brani “scatenati” come Axé Babá, tutti in piedi vicino al palco. Son contento di poter dire che anche un compositore come mio padre, Domenico Guaccero, fece in tempo a vedere un pezzettino di Gil, che comunque apprezzava molto dai dischi che ascoltavo in casa. Dopo quello spettacolo ho visto molti altri suoi concerti, alcuni dei quali hanno segnato tappe importanti della mia vita, ho suonato spesso i suoi pezzi con i miei gruppi, ne ho parlato nelle lezioni e ho fatto suonare i suoi brani nei miei laboratori e nei miei corsi, a Roma e al Conservatorio di Reggio Calabria, dove nell’ambito delle lezioni di Storia delle musiche afro-americane non manca mai la visione del filmato di Gil che nel Festival della TV Record del ‘67 canta Domingo no parque. Potevo mai immaginare che in quella stessa aula un giorno si sarebbe materializzato Gilberto Gil in persona, come uscisse fuori dallo schermo, per parlare ai miei studenti?

Già dall’estate sapevo che il 5 novembre 2017 ci sarebbe stato a Reggio Calabria il concerto di Gil Preludio, evento culminante dello straordinario festival organizzato da Ruggero Pegna “Reggio chiama Rio”, “Fatti di Musica 2017”, in collaborazione con  “Alziamo il Sipario” del Comune di Reggio Calabria. Saputo che il progetto era realizzato in collaborazione col compositore e direttore d’orchestra italiano Aldo Brizzi, che conobbi insieme a sua moglie Graça Reis a Salvador nel 2005, mi sono messo subito in contatto con lui, per organizzare una loro visita in Conservatorio, per il 4 novembre, il giorno prima del concerto, incontro che si è poi concretizzato grazie alla loro generosa disponibilità. Ma andiamo con ordine. Cosa è “Preludio”?

 

Aspettando Preludio

Il tour di “Preludio” rappresenta una tappa importante del percorso di Aldo Brizzi nell’ambito della sua attività in Brasile, che va avanti da svariati anni. Il compositore di Alessandria, vicino da giovane a una figura così importante per la musica contemporanea come Giacinto Scelsi (e questo è un altro filo che mi lega a tutta questa storia, essendo stato Scelsi negli anni ‘60 un personaggio significativo anche per l’associazione Nuova Consonanza, di cui faccio parte), si è poi avvicinato al mondo brasiliano, in particolare all’area “tropicalista” di Bahia, realizzando nel 2003 il disco “Brizzi do Brasil” con la partecipazione – tra gli altri – di Gilberto Gil, Caetano Veloso, Tom Zé e la collaborazione del poeta “concreto” Augusto de Campos.

Recentemente Brizzi ha tradotto in portoghese e orchestrato – facendo convivere il ragtime con elementi ritmici afro-brasiliani – l’opera del grande compositore afroamericano Scott Joplin,

Gilberto Gil , Aldo Brizzi e l’Ensemble di musicisti calabresi (foto di Massimo Lazzaro)

Treemonisha (terminata da Joplin nel 1911 e rappresentata per la prima volta postuma nel 1972), realizzando la messa in scena nel 2016 a Salvador, momento che, si può dire, ha rappresentato l’atto costitutivo del Núcleo de Ópera da Bahia, ideato dallo stesso Brizzi e Graça Reis. I musicisti e cantanti del “Nucleo”, si sono poi uniti nello stesso anno al gruppo di percussionisti del Cortejo Afro e al loro scenografo e costumista Alberto Pita, per un omaggio alla musica di Gilberto Gil, riarrangiata per l’occasione da Brizzi, e andato in scena nel periodo del carnevale, con la partecipazione dello stesso Gil. Nello stesso periodo Brizzi e Gil hanno cominciato a lavorare alla stesura di un’opera, Negro amor, di cui diremo più avanti. “Preludio” racchiude quindi in sé l’esperienza di Treemonisha, dell’omaggio a Gil realizzato col Cortejo Afro, e dell’opera che i due musicisti stanno componendo e di cui “Preludio”, può essere considerato appunto, un preludio. Un progetto di spettacolo che ha toccato quattro città europee: Londra, Helsinki, Basilea e Reggio Calabria, data quest’ultima nella quale il gruppo strumentale da camera inserito nell’organico era costituito in larga parte da docenti e musicisti dei conservatori di Cosenza e di Reggio Calabria – I musicisti calabresi, selezionati  da Francesco Perri, sono stati: Paolo Bennardo (tromba), Gianluca Bennardo (trombone), Andrea Affardelli (tuba), Vincenzo Baldessarro e Daniele Laro (contrabbassi), Claudio Comito e Paola Troiano (flauti), Giuseppe Santelli (pianoforte), Flaminio Marino (tromba), Pasquale Pecora (clarinetto),   Pasquale Allegretti Gravina (violino).

Nei giorni precedenti l’ambiente reggino-brasiliano era in fervida attesa dell’evento. Come mi è già capitato di dire in altri articoli, nei miei dieci anni di permanenza a Reggio si sono sviluppate molte iniziative legate alla musica brasiliana, tra Conservatorio, Museo dello Strumento Musicale, sale da concerto, con la realizzazione di seminari, masterclass, concerti. Così, grazie alla disponibilità del Conservatorio, degli allievi e degli ex allievi, spesso compagni di tante avventure, ho realizzato il 3 novembre un laboratorio sulla musica di Gil, inteso come preparazione

Giovanni Guaccero, Gilberto Gil e Aldo Brizzi al Conservatorio F. Cilea

all’incontro del 4 e al concerto del 5. Abbiamo studiato alcuni brani, i ritmi relativi (samba, ijexá, baião), e preparato un piccolo “Omaggio a Gil” per la sua venuta in Conservatorio. È stata

un’occasione di studio importante, poiché l’arte di Gilberto Gil, nella sua unione di parola, melodia, ritmo e armonia, è estremamente sofisticata e ricca di diverse componenti sia provenienti dai diversi stili e generi regionali brasiliani, che dalla musica internazionale. Ma un ascolto disattento dei suoi dischi, in particolare di quelli realizzati fra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’90, a volte non ha fatto sempre percepire tale ricchezza, forse perché l’adesione a un sound dichiaratamente “pop” – necessità storica ineludibile per una star come Gil, che in quel momento sentiva il bisogno di rendere più fruibile una musica raffinata come quella brasiliana a una platea mondiale più ampia (come per altri artisti della mpb) – tendeva a mascherare quegli elementi così sofisticati. Nella produzione di Gil degli ultimi venti anni la riproposizione in una veste più scarna, acustica o anche orchestrale ha reso giustizia ad alcune delle pietre miliari della popular music di questi decenni.

 

L’incontro del 4 novembre  al Conservatorio “F. Cilea” su Negro Amor

Ruggero Pegna, Mariella Grande, Franco Barillà, Giovanni Guaccero, Gilberto Gil, Aldo Brizzi, Irene Calabrò (Conservatorio Cilea, 4 novembre)

Nella tarda mattinata del 4 novembre l’Aula Multimediale del Conservatorio è pronta: avevamo preparato il tavolo per gli ospiti che avrebbero parlato e nel fondo sala disposto gli strumenti per l’omaggio musicale. Alle 14.00 meno un minuto spaccate vedo arrivare una macchina con dentro Gilberto Gil e Aldo Brizzi, arrivati la sera prima a Reggio, dopo un viaggio di circa dodici ore da Helsinki. Saluto Aldo, dopo alcuni anni che non lo vedevo e vengo presentato a Gil: il mito, la storia della musica popolare brasiliana. Da quel momento, in uno stato di forte emozione, hanno convissuto in me sia il musicista-docente di conservatorio che il bambino appassionato che si trova improvvisamente davanti al proprio idolo. Dopo un breve passaggio in direzione, il “corteo” che ormai accompagnava Gil si sposta verso l’aula multimediale, ormai gremita. Seduti al tavolo, l’incontro comincia. Dopo i saluti introduttivi di Franco Barillà (direttore uscente del Conservatorio) e di Mariella Grande (direttrice entrante), dell’assessore comunale Irene Calabrò e del promoter Ruggero Pegna, prendo la parola e l’incontro ha inizio, mentre nel frattempo erano arrivati anche i componenti del Núcleo de Ópera da Bahia, Graça Reis, Juliana Bastos, Carlos Eduardo Santos e Josehr Santos.

Con Brizzi si era concordato di parlare soprattutto di questo progetto straordinario che è l’opera che lui e Gil stanno scrivendo a quattro mani, Negro amor, che debutterà nel 2018 in Brasile e che nel 2019 arriverà in Europa. Una sorta di “opera in progress”, di cui “Preludio” è in qualche modo una tappa. Trovavo estremamente interessante che nella principale istituzione musicale della città, aperta – come ormai molti conservatori – anche allo studio di diversi generi musicali, si potesse parlare davanti a studenti e docenti, di un progetto dalle tante e profonde e diverse stratificazioni culturali. Negro amor, come ci hanno raccontato Gil e Brizzi, nasce da un’idea del grande intellettuale brasiliano Rogério Duarte, uno dei padri del movimento tropicalista, recentemente scomparso, che ha tradotto in forma di canzone popolare brasiliana, il Gita Govinda, poema erotico della letteratura indiana del XII secolo, dove si narra dell’amore tra Krishna e Radha. “Negro amor è una sorta di Cupìdo, che colpisce con la sua freccia l’infedele dio indiano, portandolo a ricercare l’amata in fuga”. Duarte chiese a Brizzi di farne un’opera, che ora è in via di realizzazione in collaborazione con Gilberto Gil, per una rappresentazione che vedrà coinvolti un’orchestra di circa 70 elementi, il danzatore indiano Raghunath Manet e molti altri artisti. Durante la prima parte dell’incontro i due musicisti hanno parlato dell’opera, del grande ruolo di Duarte in questo lavoro, dell’importanza della musica brasiliana oggi (una musica già di per sé “meticcia”, che nasce dall’incontro tra culture diverse), di come da due anni a questa parte circa proceda la loro collaborazione compositiva. Poi Brizzi comincia ad entrare più nei particolari della forma dell’opera, che è strutturata in tre atti. Ci parla di come lui e Gil si siano posti il problema di far entrare in contatto realtà così distanti come l’India del XII secolo e la cultura brasiliana, e di

Gilberto Gil e Aldo Brizzi al Conservatorio F. Cilea (foto di Massimo Lazzaro)

come, secondo Brizzi, sia stato fondamentale per questo percorso il “passaggio” attraverso Wagner, il compositore europeo che più di tutti è stato influenzato dalla cultura indiana (“via Schopenhauer”), artefice di una estrema dilatazione del suono e del tempo. Per concludere con una descrizione della struttura di ogni atto dell’opera, nella quale vengono indagate tutte le sfaccettature dell’amore tra Radha e Krishna (desiderio, gelosia, abbandono, unione), con un Gilberto Gil che dovrà interpretare il ruolo di narratore, il quale nel finale assumerà una sorta di ruolo “divino”. Un incontro tra culture differenti, tra musicisti di area classica e popolare, nel tentativo di definire un teatro musicale del terzo millennio.

Terminata questa parte dell’incontro, è arrivato il momento dell’ “Omaggio a Gil2 che avevamo preparato il giorno prima in Conservatorio. Nell’ambito di tre giorni indimenticabili, questi cinque minuti lo sono stati per tutti noi forse ancora di più: poter omaggiare Gil con una rilettura delle sue musiche (Eu vim da Bahia, Refazenda, Filhos de Gandhi), anche con l’utilizzazione di strumenti della tradizione calabrese come la lira, con allievi e ex allievi, nell’aula dove in genere tengo lezione, è stato qualcosa di impagabile, con Gil e i coristi che accennavano a cantare i brani. L’incontro poi è proseguito con domande degli allievi e dei giornalisti3, in particolare sul tropicalismo e sulla difficile attuale situazione politica in Brasile. A tale proposito, è interessante osservare come per Gil – pur non considerando quella tropicalista un’esperienza ripetibile oggi – il tropicalismo rimanga comunque per i giovani di oggi un esempio di “audacia, rischio e sogno”, mettendo allo stesso tempo in evidenza più che gli elementi di rottura (che tra ‘67 e ‘68 sembravano preminenti), la continuità con il processo di autodefinizione della cultura e dell’identità brasiliana, già a partire dalla seconda metà dell’ottocento, con la graduale fuoriuscita dalla cultura coloniale, per arrivare attraverso Villa-Lobos, la poesia modernista, Vinicius de Moraes, alla bossa nova di Tom Jobim e poi ai movimenti degli anni ‘60. Il tropicalismo sintetizzò tutto questo, inserendo nuovi elementi, ma in una cornice di continuità con la tradizione culturale nazionale. L’incontro è poi terminato con un tripudio di amore per Gil, con doni, autografi, foto, alle quali lui non si è mai sottratto, con la sua grazia e dolcezza incommensurabili.

 

Il concerto del 5 novembre  al Teatro “F. Cilea”

La sera del concerto, domenica 5 novembre, il Teatro Cilea comincia presto a riempirsi. Nel foyer è stata allestita la bellissima mostra fotografica di Patrizia Giancotti, L’anima negra di Bahia, una selezione di sue foto scattate nell’arco di circa vent’anni, presentate in forma di dialogo con frammenti di testi scritti di  autori come Jorge Amado, Pierre Verger, Darcy Ribeiro e dello stesso Gilberto Gil. Entrando nella platea, ci si ritrova insieme a tutti gli appassionati di musica brasiliana della città, allievi, colleghi, musicisti. Prima del concerto, aprono la serata “I tamburi di Luca Scorziello”, sicuramente la formazione reggina che più di tutte era adatta a introdurre un evento del genere, che “circondano” la prima metà della platea, eseguendo – con la loro consueta trascinante energia – due interessanti e coinvolgenti brani originali di Scorziello e Bruno Pugliese, tratti dal loro cd in uscita. Dopo i saluti degli organizzatori e la breve introduzione di Max De Tomassi, verso le 21.30 il concerto ha inizio.

I Tamburi di Luca Scorziello (foto Fabio Orlando)

Subito si percepisce che “Preludio” è qualcosa di unico, un elegante intreccio tra musica popolare brasiliana, opera, musica da camera europea, ritmi di matrice africana, arte visiva (con costumi e scene firmati da Alberto Pita) dove i confini tra culture e generi musicali diventano sempre più sfumati, nel tentativo di creare forme artistiche nuove. E quello che stupisce è la capacità di questo genio dell’arte poetico-musicale che è Gilberto Gil, di rigenerarsi, rinnovarsi e rimettersi sempre in gioco per nuove sfide. Il concerto è aperto da un preludio strumentale (in realtà si tratta dell’unione di due brani, il primo di Brizzi, facente parte di un’altra opera che il compositore  sta scrivendo, e l’altro di Brizzi e Gil, tratto da Negro amor), con degli elementi coreografico/gestuali di due delle percussioniste del Cortejo Afro.

Poi dopo la bella interpretazione da parte di Graça Reis e  Juliana Bastos di O verdadeiro slow drag di Joplin, entrano anche le voci liriche di  Carlos Eduardo Santos e Josehr Santos per il secondo brano dalla versione di Brizzi di Treemonisha, Vamos rodar, interpretato anche da Gilberto Gil, che stupisce tutti in questa veste inedita. Ed è subito un momento altissimo e commovente, se pensiamo all’incontro dilatato nel tempo tra questi due grandi artisti della storia della musica afro-americana.

Inizia poi la prima sequenza di brani di Gil con i nuovi arrangiamenti di Brizzi, suonati egregiamente dal gruppo strumentale calabrese, dalle percussioni del Cortejo Afro dirette dal Mestre Gordo, e con gli interventi delle quattro voci liriche: Andar com fé, Eu vim da Bahia (straordinario capolavoro giovanile dalle atmosfere bossanoviste, scritto quando era in procinto di lasciare Salvador per São Paulo: “sono venuto da Bahia, ma un giorno io tornerò là”), la toccante ballad Superhomem, a canção, con la bellissima voce di Graça Reis che contrappunta quella di Gil (“un giorno ho vissuto l’illusione che essere un uomo sarebbe bastato”), la sua classica versione di No woman, no cry (Não chore mais), fino all’ijexá Filhos de Gandhi scritto per l’omonimo “afoxé” di Bahia a cui Gil è così legato, che provoca il primo cortocircuito emotivo in noi che il giorno prima avevamo partecipato all’omaggio, proprio con quel brano. Segue il momento voce e chitarra, una delle dimensioni in

Núcleo de Ópera da Bahia e Cortejo Afro (foto di Massimiliano Natale)

cui Gil è abituato a dare il meglio. Il chitarrismo di Gil è qualcosa di unico: in cinquant’anni di carriera ha inventato un mondo, sviluppando la lezione ritmica di João Gilberto, e applicandola non solo al samba ma anche ad altri ritmi regionali brasiliani, da quelli baiani a quelli di tutto il nordeste. Ma in questo caso, nel primo brano, l’uso della chitarra è ridotto all’osso: dei colpi sulla cassa armonica, con un ritmo ossessivo che fa risuonare le corde gravi a vuoto. Si tratta del bellissimo Não tenho medo da morte, arrangiato per gruppo quando uscì nel 2008, e qui in concerto riportato alla sua essenzialità quasi rituale che il testo e la straordinaria vocalità dell’artista baiano esigono (“Non ho paura della morte / ma piuttosto paura di morire / Qual è la differenza / tu devi chiedere / È solo che la morte è dopo / che ho smesso di respirare / Morire è ancora qui nella vita, nel sole, nell’aria”). La sua spiritualità e la profonda dimensione dei suoi testi continuano ad emozionare chi ha – almeno in parte – il privilegio di comprendere quella lingua meravigliosa che è il portoghese, grazie anche al brano successivo, l’ormai classico Se eu quiser falar com Deus, salutato dopo i primi accordi dall’applauso del pubblico, anche questo interpretato con un accompagnamento chitarristico essenziale (Se voglio parlare con Dio / Devo stare da solo / Devo spegnere la luce / Devo stare zitto / Devo trovare la pace / Devo sciogliere i nodi / Delle scarpe, della cravatta / Dei desideri, delle paure / Devo dimenticare la data / Devo perdere il conto / Devo avere mani vuote / Avere l’anima e il corpo nudi)

Successivamente si passa a un “ipnotico” e affascinante brano di Brizzi, Dara, un canto ijexá tratto da un frammento di un’altra opera di carattere afro-brasiliano che il compositore sta scrivendo con Jorge Portugal, interpretato dal soprano Graça Reis e dal tenore Carlos Eduardo Santos. E si è arrivati così al momento dei quattro brani  vocali di Negro amor, composti a quattro mani da Brizzi e Gil (Ele abraça, Arrependido ele lamenta a sorte, Teu silêncio prolongado, Na mais secreta alcova), dove tutto quello che era stato detto il giorno prima sembra materializzarsi, proprio in un teatro d’opera come il “Cilea”: vediamo il “narratore” Gil, che interagisce con Radha e Krishna. È il “cuore” dello spettacolo, e sembra che improvvisamente tutto assuma ancora più senso, in una dimensione teatrale che lega fili di storie antiche e recenti, in questo “percorso” culturale dall’India al Brasile, passando per l’Europa. I brani sono intensi e raffinati, l’atmosfera è a tratti sospesa e sensuale, non lontana dal Gil “spirituale” degli anni settanta, ma trasformata dallo stile di Brizzi, che immette nella musica la sua particolare concezione del tempo, con i ritmi afro-brasiliani che interagiscono con i suoni aspri dei fiati, e la voce “popolare” di Gil che dialoga con le splendide voci liriche del Núcleo de Ópera da Bahia .

 Gilberto Gil e Graça Reis

Gilberto Gil e Graça Reis

Si riprende con una sequenza di brani di Gil, uno più bello dell’altro, con le moderne orchestrazioni di Brizzi, a tratti “barbariche” (oserei dire quasi una “terza via” europea tra lo sperimentalismo modernista di Rogerio Duprat e le sonorità avvolgenti di Jaques Morelenbaum), in altri momenti più morbide e molto rispettose degli originali, ma sempre con idee originalissime, nelle introduzioni, nei contrappunti, nelle chiusure. Prima il commovente choro-canção Pãe e mãe, poi il trascinante “nordestino” Expresso 2222 (e ripenso al concerto del 1981!), fino al capolavoro assoluto: Domingo no parque, ancora più impressionante sentito – da me – per la prima volta dal vivo. Un brano dove la costruzione musicale (nella quale sono mescolati elementi che vanno dai ritmi della capoeira fino al rock), quella testuale (quasi una sceneggiatura cinematografica in miniatura), e l’interazione tra le varie componenti, in un gioco straordinario di riflessioni, fanno fuoriuscire il pezzo dagli schemi della tradizionale forma-canzone. Per arrivare all’ultimo brano in scaletta, l’ormai classico e immancabile Toda menina baiana, punto culminante di quest’ultima parte del concerto: il peso degli anni del settantacinquenne Gil sembra non farsi sentire per niente: è sempre, ancora, lui, il grande “miscelatore” di culture musicali, per il quale – come per gli scrittori “modernisti/antropofagisti” brasiliani degli anni ‘20/’30, ai quali i tropicalisti in qualche modo si ispirarono – il nutrirsi della cultura degli altri non riduce, ma anzi amplifica l’autonomia e l’assoluta individualità della propria personalità artistica. Tutti i musicisti escono poi fuori nuovamente per un bis: di nuovo Vamos rodar da Treemonisha, dove Gil canta e danza con ancor più leggerezza e grazia. Terminato il concerto Gilberto Gil saluta il pubblico scandendo con la sua gestualità e comunicativa irresistibili, le parole finali del brano: “Cantem todos, dancem todos, sorridentes”. Degna conclusione di una due giorni, che nessuno dei presenti dimenticherà mai. Come aveva preannunciato Gil all’incontro in Conservatorio, è stata un’esperienza “inesquecivel”. Indimenticabile.

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Un “PRELUDIO” per “NEGRO AMOR”, l'opera di Gilberto Gil e Aldo Brizzi
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Gilberto Gil e Aldo Brizzi presentano in anteprima il loro lavoro scritto a quattro mani dal titolo Negro Amor a Reggio Calabria
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