Selton
Manifesto Tropicale
Universal Music
2017
Quando Oswald de Andrade scrisse il Manifesto Antropófago, nel 1928, sicuramente non avrebbe mai immaginato che 89 anni più tardi avrebbe ispirato un disco dei Selton. Ma tant’è, Manifesto Tropicale, a detta degli autori, si ispira proprio alla teoria del cannibalismo culturale che già negli anni sessanta aveva ispirato artisti come Caetano Veloso, Adriana Calcanhotto, Os Mutantes e tanti altri.
Nel caso dei Selton, però, il risultato è leggermente diverso da quello che ci si aspetterebbe se si considerano le produzioni della generazione già citata.
Manifesto Tropicale è un disco genuinamente pop, leggero, che pur divorando culture disparate, rimane ancorato ad un certo modo minimalista di fare musica, in netto contrasto rispetto a quello che la band brasiliana aveva fatto fino a questo momento. La cosa appare evidente sin dalle prime note di Terraferma, brano d’apertura del disco, che, seppur gradevole e orecchiabile, sembra ancorato ad un certo modo di fare musica tipicamente italiano che di tropicale ha ben poco. Luna in Riviera si discosta leggermente da Terraferma, abbandonandosi a sonorità che ricordano la disco anni ottanta mentre Sempleando Devendra, cantata in spagnolo, viaggia su corde decisamente diverse, pur sempre minimaliste, ma più articolate e raffinate. Oltre a quello appena, i Selton fanno ricorso ad altri idiomi come l’inglese in Jael, una ballad distesa e assai gradevole.
Cuoricinici, titolo del brano singolo lanciato qualche tempo prima del lancio di Manifesto Tropicale, controbilancia la linea armonica schietta e pulita con un testo ironico in pieno stile Selton, dove l’invito che gli artisti offrono alla sventurata interlocutrice non lascia spazio a dubbi. Sulla stessa linea anche Tupi Or Not Tupi che, su una base imponente di bassi, appoggia un testo convulso che mistura lingue diverse a rincorrersi e confondersi. Probabilmente questa è l’unica composizione che, in un certo senso, riflette la teoria di deandradiana, oltre ad essere assolutamente la più interessante sul piano armonico. Lodevole anche Bem Devagar – da non confondere con la composizione omonima di Gilberto Gil – che offre sonorità francamente brasiliane se si pensa alla nuova scena musicale paulistana.
Senza ombra di dubbio il disco offre degli spunti interessanti ma si mantiene ben lontano da certi lavori passati come Saudade. Pur orecchiabile e gradevole, Manifesto Tropicale stenta a decollare rimanendo un lavoro da ascoltare, sì, ma senza troppe pretese.

