Ottant’anni e una manciata di mesi sembrano non pesare affatto sulle spalle esili di Tom Zé. A guardarlo bene, sotto la spessa coltre di rughe che gli solcano il volto, l’artista baiano nasconde l’animo giocoso e leggiadro di un ragazzino. Nella sua casa nel cuore di São Paulo, nel quartiere di Perdizes, mi accoglie con un sorriso enorme. Mi abbraccia e mi chiede scusa per aver troppe volte rinviato il nostro incontro. Figuriamoci. Tom Zé che ti chiede scusa non te lo saresti mai sognato. È teso e felice. Gli dico che sarebbe un sogno averlo in Italia. Asseconda l’auspicio. Poi, vedendolo teso e incuriosito da quello che gli chiederò, gli mostro le domande. Le legge tutte, compiacendosene. Poi si blocca. La domanda sulla situazione politica del Brasile lo mette a disagio. Per chi ha già affrontato vent’anni di dittatura militare dev’essere troppo doloroso parlare di un altro periodo nero per la politica del suo Paese. Lo rassicuro. Non parleremo di politica. Mi offre un tè e mi fa strada verso il suo studio di registrazione. Un tripudio di cavi, strumenti e instozementos ostacola il cammino. Io e il cameraman che mi segue entriamo in punta di piedi, ci accomodiamo. Lui sullo sgabello della batteria, io alla scrivania; Tom Zé esattamente di fronte a me. È un attimo per essere travolti da un flusso di coscienza che ha il peso di un’intera carriera, di studi, approfondimenti, ricerche sull’origine della musica brasiliana. Un percorso tortuoso e affascinante che si interrompe quando chi lo conduce ha bisogno di chiedere sostegno alla Neusa, compagna di una vita, che lo aiuta, con dolcezza, condividendo con Tom i ricordi che lui ha perso. Mentre il tempo incede, si passa dall’esegesi del tropicalismo al periodo di ostracismo artistico, dai ricordi d’infanzia a Irará al nuovo disco per festeggiare gli ottant’anni. E mentre parla, ancora una volta, come un bambino sgrana gli occhi, sorride, si infervora, si esalta. Potrebbe non finire mai, neanche dopo quasi due ore di intensa conversazione. Poi si alza, mi porta in una stanza-archivio e mi fa dono di innumerevoli dischi…quelli di una carriera brillante e geniale. Scattiamo una foto e mi fa promettere di inviargli una copia della rivista non appena sarà in edicola. Mi abbraccia ancora. Vado via. In tasca i ricordi di un genio troppo spesso bistrattato dal mercato musicale, a volte ignorato, dimenticato, ma pur sempre un genio, tra i più grandi che il Brasile abbia mai avuto.
Partiamo dall’inizio. Sei nato nella città di Irará, in Bahia, dove hai frequentato l’Universidade de Música. In che modo questa terra ha influenzato il tuo linguaggio musicale?
È vero, ho frequentato l’Universidade de Música ma, se devo dire la verità, non ero un bravo studente. Pensa che non sapevo solfeggiare neanche cose che per il resto dei miei colleghi erano semplicissime Devo dire, però, che gli insegnanti di quella scuola erano pescatori di anime, e hanno pescato la mia. Ricordo che un certo professor Bandeirantes non ci insegnava armonia, ma ci insegnava ad armonizzare. Con il suo metodo, ho imparato a usare le tonalità relative e la sottodominante. Una cosa, insomma, che i fisarmonicisti del nordest dominano ma che è praticamente sconosciuta se vai nel sud del Brasile. I fisarmonicisti del nordest, invece, partono da questo per costruire melodie straordinarie. Pensa a Dominguinhos e ai suoi predecessori. Ma per tornare a me, iniziai a comporre cose assurde, canzoni il cui testo recitava RG – 4468743 – SP, CIC- 269.226.908-0000… Insomma, avevo inserito nella canzone tutti i miei codici…e continuavo: Tempo de vida previsto para o cidadão. Tempo de vida previsto para o cidadão. 1122 horas. Tempo semanal de assistir televisão. Cento e tantas horas. Nel brano c’erano solo numeri. Ho iniziato a fare musica così.
Nel 1968 hai partecipato al disco Tropicália ou Panis et Circensis, che ha decretato praticamente l’inizio del tropicalismo. Cosa è stato per te e per la tua musica il tropicalismo?
Quando io componevo le canzoni folli di cui ti parlavo, Caetano e Gil già si dedicavano alla bossa nova di grandissima qualità. Questo non ha impedito loro di coinvolgermi nei loro progetti. Tutti credevano che fosse una pazzia, ma loro non si sono tirati indietro. Io, dal mio canto, mi sentivo assolutamente a mio agio con due geni del loro calibro. Quando iniziarono a fare tropicalismo, mi aggregai a loro senza indugio.
Sempre a proposito di Tropicalismo, nel 2012 hai fatto uscire il disco Tropicália Lixo Lógico. Perché hai sentito l’esigenza di tornare a parlare di Tropicalismo dopo molti anni?
Fin dalla nascita del tropicalismo, l’establishment rappresentato dalla logica cartesiana era sconvolta
per quella mancanza di logica che caratterizzava i nostri testi e che, in un certo senso, rappresentava un nuovo orizzonte espressivo. Il disco non è altro che la sintesi di alcune idee che mi portavo dietro da tempo a proposito di come l’opera di Gil e Caetano abbia proiettato l’intero Paese dal medioevo agli anni 60. La canzoni che componevano hanno aiutato i loro fan a sviluppare una mentalità che li aiutasse ad affrontare quella seconda rivoluzione industriale che si stava realizzando a São Paulo.
Nel 1968 hai vinto il Quarto Festival de Música Brasileira da TV Record con il brano São São Paulo meu amor. Spiegaci il tuo amore per questa città
Quando sono arrivato a São Paolo, la città mi ha letteralmente impressionato e mi sono chiesto in che modo avrei potuto raccontarla nelle mie canzoni. Fino ad allora avevo cantato cose del tutto diverse, che appartenevano al mio quotidiano, come la storia di Maria Bago Mole, una ragazza che ad Irará rappresentava il primo contatto con il sesso per noi adolescenti. Per caso, però, mi capita di assistere alla proiezione del film São Paulo, Sociedade Anônima di Luís Sérgio Person. Sentii subito che quella pellicola rappresentava esattamente quello che stavo provando. Il mio stupore di fronte a questa città infinita era lo stesso stupore di Person. Nei giorni successivi alla proiezione, memore di quella pellicola, ho scritto il mio primo disco, Grande Liquidação
Il 1973 è invece l’anno di Todos os Olhos, caratterizzato da un marcato sperimentalismo. Com’è nato questo lavoro e come è stato ricevuto da pubblico e critica?
È il disco che mi lasciato senza lavoro. È stato dopo il lancio di Todos os Olhos che ha avuto inizio la fase di ostracismo nei miei confronti, durata dal 1973 fino agli anni 90. Il mio ritorno sulla scena musicale lo devo a David Byrne che ascoltò per caso i miei dischi durante una sua tournée in Brasile e mi portò negli Stati Uniti.
E c’era un altro problema. Quello della copertina, ancora oggi considerata un vero capolavoro. Raccontaci un po’…
La copertina è un’opera di Décio Pignatari, poeta concreto. Non è mia. Dopotutto, devi avere molto coraggio per sbattere in copertina un ano femminile con al centro una biglia. L’idea dell’ano era venuta a Décio partendo dal titolo del disco Todos os Olhos. Se ci pensi bene, anche l’ano è una specie di occhio. Io, dal mio canto, ero molto timido su certi argomenti perché sono cresciuto nell’entroterra baiano, ma accettai lo stesso. Non sono mai stato coraggioso come lo erano Gilberto Gil, Caetano Veloso, Augusto de Campos e tanti altri. Ad ogni modo, a parte tutto, è da apprezzare l’idea geniale di Décio, soprattutto se si pensa al fatto che il Brasile, in quel periodo, attraversava la triste fase di dittatura militare. Pensa, una band fu arrestata per aver pronunciato la parola “seno” (seio) durante un concerto e noi mettevamo sulla copertina di un disco un buco del culo esposto in pompa magna nel negozio di disco di Praça da Republica.
A proposito di dittatura, come hai vissuto quel periodo?
Non ho avuto nessuna gloria come invece è stato per Gil e Caetano. Loro hanno dovuto lasciare il Paese, io sono rimasto in Brasile e sono stato arrestato due volte. I militari arrestavano solo comunisti e artisti. Io ero nel libro paga del Partito Comunista, nonostante il mio nome non apparisse ma nelle liste della polizia. L’ho scoperto solo dopo essere stato arrestato. In quell’occasione riuscii ad avvisare mia moglie del mio arresto dopo quattro giorni di prigione. Lei e il mio amico Merna mi stavano cercando tra gli elenchi delle persone morte.
Nel 1976 hai registrato il disco Estudando o Samba che, qualche anno più tardi, nel 1980, impressionò David Byrne.
Il disco fu assolutamente ignorato dalla stampa e dal pubblico. Fu ignorato addirittura dai miei amici e colleghi. Fino al giorno in cui David Byrne, per puro caso, lo comprò durante un suo viaggio in Brasile. In quel periodo si stava occupando di cinema per un festival a Rio de Janeiro. Guardò il disco e notò la scritta Samba e poi il titolo per intero, Estudando o Samba. E in basso, sulla copertina, filo spinato e corde di chitarra. Sono stato io a concepire quella copertina…era come una trappola per attirare l’attenzione. E David Byrne ci è cascato.
Ed è così che hai iniziato la tua carriera internazionale di grande successo?
Mio dio, è stata una manna dal cielo. Ero già pronto per tornarmene a Irará, lasciare la musica e lavorare come benzinaio nella stazione di servizio di mio cugino.
Ti sei definito vanguardista retardista. Ci spieghi cosa vuol dire, magari partendo dal tuo brano Explicar para confundir…
Bellissima battuta. Ecco, quando qualcuno è avanguardista, guarda al futuro. Io, al contrario, pesco tutta la mia ispirazione dal passato. Ogni volta che ho un’idea viene dal mio passato. Ed è così che anche quando sono avanguardista, in realtà sono retardista perché mi ispiro dal passato. Semplice.
Oltre che di Estudando o Samba, sei autore anche di Estudando o Pagode e Estudando a Bossa, che completano una trilogia. Qual è il significato di questo lavoro di studio?
Quando stavo componendo il disco Estudando o Samba, mi sono reso conto, ancor prima di pensare al titolo, che effettivamente tutte le composizioni erano dei samba. E così ho pensato di mettergli quel titolo, anche perché in musica classica il termine studio è molto usato. Nella musica popolare non significa niente, ma io ho scelto comunque Estudando o Samba. Dopo questo lavoro, ho iniziato a comporre cercando di sviluppare un’idea omogenea che si sviluppasse su dodici composizioni. Insomma, ho creato il mio metodo compositivo che ho usato anche per altri lavori. Nel mio ultimo disco, per esempio, ho composto tutte le canzoni basandomi sul tema centrale del sesso.
A proposito di questo disco che citi – Canções Eróticas para Ninar – cosa sono gli instozementos?
Mi sono sempre chiesto in che modo abbiano inventato il sassofono. La scoperta di uno strumento, l’atto del dargli un nome mi ha sempre incuriosito. Per inventare i miei instozementos, li chiamo così, sono partito con una lucidatrice rotta. Me l’aveva data mia moglie per sistemarla, ma mi sono reso conto che quando l’accendevo faceva un rumore sul quale io cantavo tencoticuta-cuticuá-tá. E quando la spegnevo, cantavo tencoticutacu. Poi ho pensato di usare un’altra lucidatrice riempita con del cotone per modificarne il suono. Insomma, il primo strumento che ho creato è stato una lucidatrice.
E continui a inventare strumenti?
Certo. Recentemente ho pensato ai clacson. Sono praticamente strumenti a fiato. L’unica differenza è che i clacson usano come fonte di energia l’elettricità e non il fiato dell’uomo. Ho iniziato, così, a piazzare dei clacson sul palco, mentre ora invece ho creato uno strumento più complesso che ho usato nel nuovo disco. Sono vari clacson collegati e puoi controllarne il volume, il timbro e puoi fare cose diverse.
In uno dei tuoi ultimi dischi, Vira-lata na Via Láctea, hai collaborato con molti artisti giovani. Qual è la tua opinione su questa nuova generazione di musicisti?
Guarda, dicono che quando in un Paese si smette di comporre, questo andrà alla rovina nel giro di quattro anni. Per quel che riguarda il Brasile, credo che per la quantità di musicisti e di produzioni musicali che ci sono, non si corra minimamente questo pericolo. Credo che di certo il Brasile non andrà in rovina nel giro di quattro anni.
Parlaci un po’ del tuo ultimo disco…
Canções Eróticas de Ninar è un disco sul sesso. E devo dire che in questo senso è stato un lavoro molto difficile da realizzare perché quando parli di sesso, è molto facile allontanarsi dall’erotismo e lambire i territori della pornografia. E, ancora peggio, è molto facile offendere le donne. È stato molto difficile. Ho composto molte cose che ho poi buttato ma alla fine ce l’ho fatta e l’ho lanciato il giorno del mio compleanno, l’11 ottobre, quando ho compiuto ottanta anni.


incredibile personaggio Tom Ze e ancora più incredibile la sua musica