Se qualcuno, all’epoca, avesse affermato che una sola settimana di febbraio avrebbe mutato le sorti culturali di una intera nazione, probabilmente sarebbe stato apostrofato come pazzo. Eppure, la data del 13 febbraio 1922 diede inizio a una trasformazione radicale di a sema que não terminouun Paese che di lì a poco si sarebbe donato al modernismo.

Quel giorno, Mário e Oswald de Andrade, Di Cavalcanti, Heitor Villa-Lobos, tra i tanti, stavano gettando, location il Teatro Municipale di São Paulo, le basi per quello che sarebbe stato il Brasile moderno. Oggi, la “Settimana d’Arte Moderna” è ricordata in un libro dal titolo evocativo – “1922 A semana que não terminou” -, edito dalla Companhia das Letras, in cui il giornalista Marcos Augusto Gonçalves tenta di ricostruire passo passo quello che accadde in quei giorni intensi e controversi.L’intento è quello di mettere ordine tra avvenimenti storici che ancora fanno discutere, che ancora dividono su due fronti chi crede che il modernismo sia figlio del febbraio del ’22 e chi, invece, ritiene che una certa “modernità” già traspariva nelle opere degli anni precedenti. Lungi dall’essere un trattato accademico, l’opera di Gonçalves è piuttosto un reportage storico, fatto di documenti e citazioni importanti raccolti nel corso degli anni. Probabilmente questa non è la storia definitiva e completa di una settimana così lunga, ma a leggere il libro le parole di Mário de Andrade (tratte da una lettera al collega Menotti del Picchia), finiscono per apparire davvero profetiche:

“Siamo celebri. Finalmente! I nostri nomi rimarranno per sempre nei giornali e nella storia dell’arte brasilaiana”