Nel cuore di Belem, il quartiere nobile di Lisbona che si adagia sulla riva nord del fiume Tejo, ieri sera una rinnovata Adriana Calcanhoto ha debuttato con il nuovo spettacolo dal titolo, quantomeno deandradiano, A Mulher do Pau Brasil.
Sul palco, più strumenti che musicisti. Adriana infatti è accompagnata soltanto da Gabriel Muzak, che si divide tra chitarra, mpc e voce, e Ricardo Das Gomes, già visto al lato di Caetano nella ben nota Banda Cê, che, invece, salta dal pianoforte al basso. Tanto basta per offrire uno spettacolo che va aldilà di ogni aspettativa.
Ovviamente, non nutrivamo dubbi sulle doti artistiche della Calcanhoto – l’avevamo già vista in occasione della tournée Olhos de Onda – ma in veste di Mulher do Pau Brasil l’artista porto-alegrense brilla come stella polare.
Certo l’incipit del concerto, che si affida al brano che dà il titolo allo spettacolo, non è forse all’altezza di quello che ci si appresta ad ascoltare ma, per fortuna, basta poco perché l’asticella si alzi di molto. Le prime note di Esquadros che riecheggiano nel Grande Auditório do CCB aprono una porta su un universo sonoro articolatissimo e multicolore nel quale, si fa presto a notarlo, Adriana è a proprio agio. Non è un caso se per questo spettacolo, la cantante e compositrice canta in piedi, potendo ancheggiare, muoversi, spaziare, distendersi sulla rossa amaca che si staglia nel bel mezzo del palco. Gioca con la voce, Adriana, che nella sua nota delicatezza si spinge in appena percettibili e volute dissonanze ad aggiungere colore ad un già variopinto quadro.
Dalla forma al contenuto, i concerti di Adriana Calcanhoto sono un misto di musica e poesia e sul palco del Centro Cultural di Belem non sono mancati momenti di altissimo tenore poetico. Un esempio è il poema Noite de São João di Alberto Caeiro (pseudonimo di Fernando Pessoa) a cui l’artista dona una veste musicale raffinatissima. Ma la poesia, questa volta quella minimalista, permea anche l’inedita Quando Vim che la Calcanhotto ha composto ispirata da una frase estemporanea di Gabriel Muzak.
I temi predominanti dello spettacolo sono sostanzialmente tre: dolore, lutto e lotta. Sono temi forti, a volte pesanti, ma che, nelle corde di Adriana vengono metabolizzati e offerti in una veste più lieve che, vale precisarlo, non significa meno intensa. Quando infatti la cantante ricorda Marielle Franco, la politica barbaramente uccisa a Rio de Janeiro, lo fa appena citando il suo nome e rompendo il silenzio con una potentissima Metade che commuove quando recita Onde será que você está agora?.
Ugualmente delicata Era pra Ser, mentre Oguntê si affida all’elettronica – cosa del tutto inedita per Calcanhotto che, in questo senso, dimostra di sapersi reinventare con gran classe – per denunciare lo stato pietoso degli oceani.
A chiudere uno spettacolo superbo che si prepara a partire per altre tappe portoghesi e poi, chissà, per il Brasile, un climax di musiche incredibili, da Vamos Comer Caetano a Caravanas di Chico Buarque, per poi passare a una bellissima Tigresa di Caetano Veloso. Il finale non poteva, invece, che essere affidata a Fico Assim Sem Você che, intonata a pieni polmoni anche dal pubblico, ha chiuso con chiave d’oro – parafrasando i brasiliani – non un concerto, non uno spettacolo, ma uno stato di poesia, un esperienza catartica rara e imperdibile.
Il titolo che hai dato al concerto è un chiaro riferimento a libro Pau Brasil di Oswald de Andrade. Qual è oggi il tuo rapporto con la filosofia deandreadiana?
Nel 1987 ho fatto un concerto dal titolo A Mulher do Pau Brasil nella mia Porto Alegre. In quel periodo ero ancora affascinata dalla scoperta, avvenuta qualche anno prima, della filosofia, dell’iconoclastia e dell’umore raffinato di Oswald. Più tardi sono cambiata, spero in meglio, ma non ho mai smesso di interessarmi all’argomento e alle nuove idee che sono nate a partire dalla proposizione Pau-Brasil. Durante la mia carriera ho scritto Vamos Comer Caetano, un riferimento esplicito alla teoria dell’antropofagismo sviluppata da De Andrade. Insomma, non mi sono mai del tutto allontanata da questo universo poetico.
Com’è nata l’idea di questo concerto e come è maturata nel tempo?
Sono stata invitata all’inizio dell’estate per un concerto nel Jardim da Sereia. La mia idea era quella di fare un concerto di arrivederci per il semestre che ho vissuto a Coimbra, approfittando per lanciare questo concerto-tesi. Successivamente ho iniziato a pensare a uno show più dettagliato. Così ho pensato di liberarmi di alcune memorie del repertorio e dei concetti del 1987 e ho iniziato a pensare a una set-list più attuale.
Hai detto che questo concerto è la sintesi di tre sentimenti: dolore, lutto e lotta. In che modo questi concetti permeano il concerto?
La parola dolore si ripete in molte delle canzoni che compongono il repertorio. Me ne sono resa conto solo in un secondo momento e credo che la cosa sia scontata. In questo concerto parlo del Brasile, del popolo che ci viveva prima dell’arrivo dei portoghesi e che fu decimato, schiavizzato. A questo si aggiunge la quasi estinzione del pau-brasil. Tutto questo alimenta il circolo vizioso fatto di dolore, lutto e lotta.
Nonostante si affrontino temi forti, lo spettacolo riesce a trasmettere un sentimento di lievità. Cosa ne pensi?
È esattamente questo lo spirito brasiliano.
Come declini questi tre sentimenti nel tuo quotidiano?
Cerco di vivere il più possibile nel presente.
Tornando a parlare di De Andrade e all’idea di antropofagismo e, di conseguenza, a quella di tropicalismo…qual è l’eredità che questi movimenti ci lasciano?
Il coraggio di poter transitare liberamente tra cultura erudita e cultura popolare, di poter rubare un po’ di qua e un po’ di là, di incontrare la nostra voce, selvaggia, colloquiale, ironica, cordiale. Affinché possiamo deglutire e rigurgitare, come meglio ci piace.
Credi sia ancora attuale parlare di antropofagismo e tropicalismo?
Parlare dell’identità artistica di un popolo è attuale e sempre lo sarà.
Qual è stato il filo conduttore per scegliere il repertorio del concerto?
Per il primo concerto, quello al Jardim da Sereia, mi sono ispirata, per quanto possibile, al repertorio del 1987. Ho aperto il concerto con Eu Sou Terrível di Roberto e Erasmo Carlos, proponendolo in una formazione a tre, un power trio con batteria. Per il debutto a Lisbona, invece, ho composto la canzone A Mulher do Pau Brasil e ho ricantato Vamos Comer Caetano a vent’anni di distanza da quando l’avevo scritta e registrata. Ho ripescato Mortal Loucura dalle lezioni di portoghese antico e trovadori galego-portoghesi alla FLUC. Cose di questo tipo, insomma, mi hanno permesso di costruire lo spettacolo.
Durante il concerto hai raccontato un aneddoto divertente sul brano A Mulher do Pau Brasil. Ce lo racconteresti nuovamente?
Dopo aver spiegato che il rigore del compositore dev’essere alto e che, esattamente per questo motivo, avevo rinunciato a scrivere la canzone A Mulher do Pau Brasil, una mia alunna, per rigore, ha commentato: «Curioso, dobbiamo consegnare una canzone pronta per la prossima settimana. La professoressa, invece, ha tempo fino al debutto del concerto e ci rinuncia?». Mi sono molto vergognata come maestra, cosi sono andata in hotel e ho finito la canzone che, come desideravo, apre il concerto.
Questo nuovo progetto è ricco di elementi di musica elettronica. Da dove nasce la voglia di sperimentare con nuovi linguaggi espressivi?
Ricorro alla musica elettronica da molti anni. Alcune volte. Altre volte meno. Ho scritto più canzoni al computer di quante ne abbia scritto alla chitarra e credo che questa tendenza sia attualizzata nel concerto.
La Mulher do Pau Brasil è una sorta di alter ego come Adriana Partimpim?
Credo che sia l’esatto contrario. Sono io, spogliata della mia individualità, senza grande specificità. Soltanto una donna del pau-brasil, una in più, una brasiliana. Dopotutto la parola brasiliano è stata coniata dai portoghesi per indicare coloro i quali sapevano lavorare il pau-brasil.
Insegni all’Università di Coimbra come scrivere una canzone. Esiste la ricetta giusta per farlo?
No, non esiste una ricetta ma si possono imparare alcune cose partendo dai testi di altri compositori. Si possono imparare i fondamenti della composizione, idee di sintesi e chiarezza, prosodia, cadenza, tessitura, contrasto. Ma non esistono ricette…per fortuna.
Racconti che quando assegni un esercizio ai tuoi alunni, cerchi di svolgerlo anche tu. Non pensi i tuoi alunni possano essere intimiditi dalla genialità della tua poetica?
Non avevo messo in conto di svolgere io stessa gli esercizi di composizione che avrei assegnato, ma l’ho fatto e mi è piaciuto molto. Ovviamente i miei alunni non sapevano che mi sarei cimentata anche io nell’esercizio. Quello che faccio lo mostro. E i miei alunni non mi sembrano intimiditi. Nemmeno per sogno (ride)
Come sei riuscita a conciliare la vita da insegnante a quella di musicista?
È stato molto faticoso ma, per fortuna, è durato poco e, alla fine, ho potuto riposare e recuperare. Se fosse una cosa di tutti i giorni sarebbe umanamente impossibile.
In che modo vivere in Portogallo ha influenzato la tua musica?
Il Portogallo mi ha dato una sorta di tempo diluito, uno spazio maggiore per leggere e sentire poesia che, immagino, si nota nel risultato delle cose che ho prodotto durante i due semestri a Coimbra. È un periodo accademico, organizzato, in cui la disciplina aiuta a mantenersi concentrati.
La tournée inizia dal Portogallo. Prevedi di portare lo spettacolo in Brasile?
Si, i concerti brasiliani iniziano il 10 di agosto a Belo Horizonte e toccheranno varie città perlomeno fino ad ottobre.
Normalmente la tournée è il passo successivo alla pubblicazione del disco. In questo progetto, invece, tu sei partita proprio dai concerti. Possiamo aspettarci un disco?
Domanda eccellente. L’intero progetto è stato pensato per essere portato sul paco, per il live. Ovvio, non è impossibile registrarlo ma ancora non ho una risposta a questa domanda. Quando penso a una sala di registrazione, immagino sempre di comporre cose nuove.

