Mancano ormai poche ore all’ apertura dei mondiali di calcio 2014, targati Brasile. Mi chiedo quanti conoscano davvero questa terra; quanti, prima di alzare il volume delle musiche che accompagneranno le 64 partite che si giocheranno in giro per gli stadi in Brasile, si siano fermati un attimo a conoscere questo paese; quanti abbiano fatto un giro virtuale con google maps per osservare, ammirare e conoscere … Quanti?

“A arte brasileira deve ser brasileira, isto é, girar na ambiência fisica e moral da nossa terra e do nosso povo (…)”.

(L’arte brasiliana dev’essere brasiliana, cioè, deve ruotare attorno all’ambiente fisico e morale della nostra terra e del nostro popolo).

Così, ho deciso di iniziare un percorso storico per conoscere – partendo da lontano per conoscere quello che ci è più vicino – questo paese che non è fatto solo di Samba & Carnaval …

brasil colonizaçaoLa definizione del concetto di cultura – unitamente al concetto di identità culturale – con le sue ripercussioni nella formazione di un’identità linguistica genuinamente brasileira, è una materia molto complessa da trattare soprattutto quando questi due concetti sono legati alla società brasiliana.

Nel processo di formazione dell’identità culturale brasiliana dobbiamo considerare un aspetto fondamentale: l’origine coloniale. Nel 1530, con lo stabilirsi della política das capitanias nella colonia americana, il Portogallo diede inizio a un tipo di colonizzazione che contemplaval’esplorazione e l’occupazione del territorio congiuntamente all’imposizione della propria lingua a scapito delle lingue native. Quando i portoghesi raggiunsero il Brasile, gli índios distribuiti sul territorio brasiliano erano circa quattro milioni. La diversità culturale era evidente e una stima approssimativa valuta che si parlassero circa mille lingue differenti.

Nel 1549, la flotta che portava a bordo di una delle sue navi il primo governatore generale del Brasile, Tomé dejesuitas Sousa, annoverava anche i gesuiti incaricati dalla Chiesa e dalla monarchia lusitana di pianificare e organizzare l’evangelizzazione degli índios. La politica linguistica promossa dalla madrepatria coincise, in quel periodo in Brasile, con i processi di catechesi e di integrazione culturale degli índios, processi questi che si realizzarono nei primi due secoli e mezzo, di colonizzazione, in una lingua vicina a quella parlata dagli indigeni. Inevitabile la formazione di due spazi discorsivi distinti e con lingue veicolari differenti, frutto di una situazione multilingue attestata nella colonia americana: le línguas gerais grammaticalizzate e “semplificate” nelle aree soggette alla missione dei gesuiti (a San Paolo e nel Maranhão) e nell’ entroterra brasiliano, e la lingua portoghese nelle aree urbane della costa.

Le línguas gerais furono lo strumento di comunicazione adottato dai portoghesi per incorporare la forza lavoro indigena inizialmente impiegata per l’estrazione del pau-brasil. L’espediente dello scambio tra i portoghesi e le popolazioni indigene – adottato al fine di assicurarsi la forza lavoro indigena – cedette posto, molto rapidamente, alla riduzione in schiavitù dell’índio. Tuttavia, la resistenza culturale intrinseca dell’índio ai lavori forzati – soprattutto al lavoro agricolo – unitamente alle campagne anti-schiavitù indigene sostenute dai gesuiti, resero necessaria la ricerca di altra manodopera al fine di rispondere alla crescente domanda di forza lavoro. In questo modo, il sequestro e il conseguente trasporto delle popolazioni africane nella colonia americana – passato alla storia con la denominazione di tráfico negreiro, cioè la tratta degli schiavi – fornì la forza lavoro adeguata per l’avvio su larga scala della coltura della canna da zucchero. Dal XVI secolo, la deportazione degli schiavi africani in Brasile crebbe in maniera vertiginosa, principalmente a Pernambuco e Bahia, dove, già alla fine del XVI secolo, gli africani rappresentavano, in maggior misura, la base della società coloniale brasiliana.

Arrivata in Brasile, la massa africana schiavizzata e i suoi discendenti – con una formazione scolastica inesistente – dovettero apprendere un’altra lingua, la lingua dominante della colonizzazione: la lingua portoghese. Dunque, mentre a San Paolo, nel Maranhão e nell’entroterra del paese la língua geral predominava al fine di favorire una più rapida sottomissione e acculturazione delle popolazioni indigene, la lingua portoghese avanzava a partire da Bahia e brasilPernambuco verso i centri più dinamici e più intimamente legati all’economia mercantile. In questi centri, e poi gradualmente in tutto il nordest brasiliano, si sarebbe espansa l’attività di esportazione della canna da zucchero, del cotone e del tabacco (in quest’ordine durante il XVI, XVII, XVIII e XIX secolo).

Sin dai primi secoli della colonizzazione, il commercio della canna da zucchero fu non solo motivo di crescita economica del paese ma contribuì anche all’ introduzione e all’ affermazione di una società articolata intorno alla figura del signore/padrone dell’engenho (stabilimento situato in prossimità delle piantagioni di canna da zucchero) e degli schiavi africani. La dimora dei padroni portoghesi, as casas-grandes, le capanne degli schiavi, as senzalas: ecco il quadro entro cui si muoveva la grande famiglia primitiva, cuore del primo Brasile, quello patriarcale.

“Considerável iniciativa pessoal, talento de organização, poder de imaginação, aptidão técnica e econômica: tudo o que no Brasil contribuiu para a formação histórica, as casas de engenhos, os grandes casarões, foi construído pela mão de obra dos negros escravos (…)”.

Alla base dell’intero universo patriarcale c’era la manodopera africana schiavizzata che diveniva sempre più rappresentativa della società del nordest brasiliano.