Per comporla ho incontrato diverse difficoltà perché affrontava un tema intenso – l’amore e la sua morte, la rottura, la fine di un matrimonio; perché era una canzone per Sandra Gadelha – il cui nomignolo è Drão, da qui il titolo della canzone – e per me. Continuavo a chiedermi “come faccio a inserire così tanto in un’unica canzone?”. Inoltre c’era l’esigenza di eccellere, di infondere passione nei versi. Per questo motivo ci sono voluti giorni e giorni di lavoro.
Ho un ricordo di me seduto sul pavimento, stavo annotando delle frasi sul quaderno, la chitarra vicino a me. All’improvviso mi sento soffocare da un coagulo di creazione e al tempo stesso percepisco l’urgenza della vena creativa. Non riuscivo a resistere. Sono andato nella mia stanza a distendermi e a lasciare che quel coagulo si dissolvesse, dando origine a sottili filamenti che si diramavano in tutte le direzioni… il cervello e il cuore si espandevano, alcune idee cominciavano a fluire e uscivano due, tre o quattro versi. Soddisfatto, chiudevo il quaderno e uscivo a vivere la mia vita. Uscivo, passavo la giornata facendo altre cose, tornavo la sera e riprendevo, componendo di nuovo fino all’alba.
Un altro paletto che mi ponevo era quello di non essere precipitoso. Volevo essere io stesso l’osservatore di quella pratica empirica, mantenendomi a una certa distanza: dovevo contemplare la forma della canzone. Oltre allo sforzo, alla tensione e concentrazione, doveva esserci una sorta di defaticamento, di rilassamento – in modo che entrambe le cose, insieme a tutte queste esigenze intrecciate tra loro, determinassero la forma della canzone.
FONTE: GILBERTO GIL – TODAS AS LETRAS (A CURA DI CARLOS RENNÓ)
traduzione a cura di Deborah Stefanutti
supervisione: Pietro Scaramuzzo

