La carriera di Mateus Aleluia è un viaggio che ripercorre in senso retrogrado le rotte che le navi negriere percorrevano per deportare gli schiavi dall’Africa in Bahia. Il punto di partenza geografico si colloca a Cachoeira, un piccolo centro nel recôncavo baiano. Sul piano temporale, invece, siamo a cavallo tra gli anni sessanta e settanta. In quel periodo, tra le band più interessanti che il panorama musicale brasiliano offre, ci sono i Tincoãs, trio formato da Heraldo, Dadinho e lo stesso Aleluia. La loro musica, un concentrato di canti rituali del candomblé, musica barocca e ritmi africani, ha influenzato la maggior parte degli artisti che oggi conosciamo, nonostante l’esigua discografia costituita da soli quattro titoli. Per tornare al viaggio di Aleluia, il punto d’arrivo è Luanda, capitale dell’Angola dove l’artista ha trascorso 19 anni della propria esistenza, approfondendo non solo i ritmi africani ma anche e soprattutto l’eredità africana che influenza ancora oggi il Brasile.

In questo percorso di autoconsapevolezza musica e culturale che dura ormai da cinquant’anni, esistono tappe fondamentali rappresentate da aneddoti, storie e dischi, ultimo dei quali è stato lanciato all’inizio del 2017.

Fogueira Doce, prodotto da Alê Siqueira, arriva esattamente dopo sette anni da Cinco Sentido, ma rispetto al precedente sembra assolvere ad un compito più importante. Il lavoro, infatti, colma una lacuna che da tempo affliggeva il mercato musicale brasiliano per quel che riguarda l’eredità del sincretismo religioso. Tranne pochi eccezioni – come il disco Ascenção di Serena Assumpção – gli artisti che hanno tentato di colmare questa lacuna sono rimasti al di sotto della aspettative. Fogueira Doce, invece, si colloca come un caposaldo della discografia nordestina riuscendo a interpretare magistralmente un universo culturale assai complesso come quello delle religioni sincretiche, riuscendo, in un certo senso, a dare il giusto peso all’eredità africana, di ridare smalto alla musica del nordest. Aldilà di ogni clichê.

Fogueira Doce, il tuo ultimo disco, arriva dopo ben sette anni dal tuo ultimo lavoro Cinco Sentidos. Cos’è successo in questo periodo?
La forza stessa della vita, parafrasando Khalil Gibran

Qual è il filo conduttore di questo disco?
Fogueira Doce è ispirato a due visioni avute in due momenti distinti della mia vita a Luanda: una all’alba e l’altra al tramonto. In entrambi i momenti ho rivisto il periodo in cui ho vissuto in Brasile e gli anni trascorsi in Angola. Per me è stata una sorta di psicoterapia, una regressione che mi ha permesso di comprendere meglio il mio passato e di prepararmi al futuro. Il disco incarna esattamente questa esperienza.

Come nascono i brani del disco?
Alcuni brani nascono dalle collaborazioni che ho avuto nel corso degli anni con alcuni musicisti. Altri brani sono più recenti, ma nel disco tutte le composizioni si arricchiscono di nuovi arrangiamenti. Filha – diga o que vê, composta con Dadinho nel 1983 in lingua yorubà, in Fogueira Doce viene riproposta in una versione per coro ed è cantata in portoghese. Convênio no Orum, invece, l’ho scritta nel 2003 insieme a Carlinhos Brown. Per il resto, sono tutte musiche di mi autoria che raccontano particolari momenti della mia vita. A scegliere il repertorio, invece, mi ha aiutato il produttore Alê Siqueira.

Nel disco si apprezza una chiara impronta africana. In che modo i diciannove anni vissuti in Angola hanno influenzato la tua musica?
La cultura africana contamina quella brasiliana dai tempi della deportazione degli schiavi africani che giungevano soprattutto in Bahia. Tale fenomeno si apprezza nelle manifestazioni ritualistiche dei culti religiosi come il Candomblé. Dopotutto l’andamento ritmico di quella che chiamiamo mpb, ricalca fedelmente i colpi sacri dei tamburi del Candomblé. A questo si aggiunge il fatto che molte parole oggi comuni nel portoghese, soprattutto in Bahia, derivino da lingue africane come il bantu che, secoli fa, si sono mescolate con gli idiomi dei nativi brasiliani. Per tornare alla tua domanda, Fogueira Doce non solo è influenzata dai 19 anni passati in Angola, ma offre una visione storica e artistica dell’Angola moderna che è ben lontana dai luoghi comuni che esistono in Brasile.

Abbiamo parlato di candomblé, ma in questo lavoro ci sono molti riferimenti alla musica barocca cattolica…
In un modo o nell’altro, siamo il risultato dell’incontro tra la cultura africana, quella europea e quella degli Indios brasiliani. Non sono stato certo io a voler mescolare il barocco con le sonorità africane. E’ stato un processo del tutto naturale.

Eri membro dei Tincoãs. Qual è secondo te l’eredità che questa band ha lasciato a te e alla musica brasiliana?
Credo che il lavoro dei Tincoãs, e quello di molti altri artisti brasiliani capaci di mantenere un legame stretto con la cultura afrobrasiliana anche prima di noi, abbia contribuito a dimostrare come l’espressione musicale nei terreiros di candomblé non sia appena una manifestazione folcloristica, ma piuttosto un genere musicale dotato di una propria struttura ritmica, armonica e melodica la cui interpretazione è in grado di trasportare in uno stato meditativo che può indurre l’individuo allo studio di se stesso.

Tra i nuovi artisti brasiliani, chi può considerarsi erede legittimo dei Tincoãs?
Non credo si possa parlare di un erede, ma sicuramente esistono musicisti che lavorano sullo stesso campo che fu dei Tincoãs. Penso a Letieres Leite, all’Orchestra AfroSinfônica di Gira Marques o a Gêge Nagô de Cachoeira.

Alcuni giornalisti ti hanno definito la voce dei reietti. Cosa ne pensi?
I reietti hanno una sola voce e io ne rappresento solo una piccola parte. Se ti interessa approfondire la questione e capire perché mi ritengo parte di questo coro, ti consiglio di leggere il libro Belínda di Edmar Bacha. É un racconto immaginario, ma è così reale…

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Saranno sempre i prossimi e, quando accadranno, parleranno da soli. E io parlerò di loro.

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Mateus Aleluia: tra Angola e Brasile, una Fogueira Doce
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Mateus Aleluia: tra Angola e Brasile, una Fogueira Doce
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Mateus Aleluia, ex Tincõas, ha pubblicato da poco il disco Fogueira Doce che si colloca a metà strada tra la musica del Brasile e quella dell'Angola
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